La plenaria del Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sull’European Media Freedom Act (EMFA), la legge Ue sulla libertà e la trasparenza dei media. E dal 18 ottobre inizieranno le trattative con il Consiglio europeo. Il testo è stato approvato con 448 voti a favore, 102 contrari e 75 astensioni. Per la Federazione europea dei giornalisti si tratta di “un voto storico” che “ha migliorato significativamente il testo della commissione europea”. Ma c’è una parte che preoccupa: “Siamo però rammaricati per la mancanza dello stop completo allo spionaggio” dei giornalisti. Perché, mentre da una parte si interviene per la prima volta a livello europeo, per combattere lo strapotere delle grandi piattaforme e contro la concentrazione dei finanziamenti ai media, dall’altra viene accettato “come ultima istanza” la possibilità che si debba tenere sotto controllo i giornalisti in nome della “sicurezza nazionale”. Solo il 27 settembre scorso, 80 associazioni rappresentanti della società civile e dei media a livello europeo avevano scritto una lettera per chiedere agli eurodeputati di bandire completamente lo spionaggio dei cronisti.

Libertà sì, ma resta lo spionaggio “come ultima istanza” – Il regolamento, prodotto dalla commissione, prevede l’obbligo per i Paesi Ue di garantire la pluralità dei media e di proteggerne l’indipendenza da interferenze governative, politiche, economiche o private. Nel testo legislativo adottato i deputati propongono misure per vietare ogni forma di ingerenza nelle decisioni editoriali e per impedire che siano esercitate pressioni esterne sui giornalisti, attraverso ad esempio l’obbligo di rivelare le fonti, l’accesso a contenuti crittografati sui loro dispositivi o l’uso di software spia. Questo resta uno dei passaggi più controversi: rimane, all’articolo 4, il fatto che l’uso di software spia può essere giustificato. Questo però deve avvenire solo come misura di “ultima istanza”, da valutarsi caso per caso, e se disposto da un’autorità giudiziaria indipendente per indagare su un reato grave, come il terrorismo o la tratta di esseri umani. Su questo punto ha protestato in Aula l’eurodeputata M5s Sabrina Pignedoli: “È passato un emendamento al regolamento che autorizza l’utilizzo di spyware per i giornalisti” . E lo fa con “deroga per motivi di sicurezza nazionale“. A spingere su questo punto, già a giugno, erano stati i singoli Paesi (prima fila la Francia) durante le trattative al Consiglio europeo. Una richiesta a cui si è adeguato anche il Parlamento. “Questo significa che le autorità giudiziarie potranno impiantare e nascondere nei cellulari e o nei computer dei giornalisti dei malware per percepire e rubare informazioni anche personali”, ha detto Pignedoli. “Nel testo sono previste molte garanzie ma questo metodo ricorda molto quello già utilizzato da Orban per minacciare la stampa ungherese e che per noi va bandito del tutto. Contro questa deriva non possiamo stare zitti”. Per questo il M5s si è astenuto in Aula.

Le norme per la trasparenza e il tentativo di regolamentare le grandi piattaforme – Il regolamento ha comunque alcune conquiste ritenute molto importanti. Per valutare l’indipendenza dei mezzi d’informazione, il Parlamento ha dato il via libera all’obbligo per tutti i media, compresi quelli che sono microimprese, a pubblicare informazioni sul loro assetto proprietario. I media, inclusi le piattaforme online e i motori di ricerca, dovranno inoltre riferire sui fondi che ricevono attraverso la pubblicità statale e sul sostegno finanziario pubblico, sia che si tratti di fondi provenienti da Paesi dell’UE che da Paesi terzi.

Un altro passaggio molto importante è quello che riguarda le decisioni sulla moderazione dei contenuti prese dalle grandi piattaforme online: per evitare che incidano negativamente sulla libertà dei media, i deputati chiedono che sia messo a punto un meccanismo per gestire la rimozione dei contenuti. Una piattaforma dovrebbe anzitutto analizzare le dichiarazioni, per distinguere i media indipendenti dalle fonti non indipendenti. Dovrebbe poi informare i media interessati della sua intenzione di eliminarne o limitarne i contenuti, lasciando loro 24 ore per rispondere.

Se, trascorso questo termine, la piattaforma ritiene che il contenuto mediatico non sia conforme ai suoi termini e condizioni, può procedere con la rimozione o la restrizione, o il rinvio del caso alle autorità di regolamentazione nazionali affinché prendano senza indugio la decisione finale. Tuttavia, se il media coinvolto ritiene che la decisione della piattaforma non sia sufficientemente motivata e comprometta la libertà di stampa, potrà domandare una risoluzione extragiudiziale della controversia.

La regolamentazione dei fondi pubblici – La posizione dell’Europarlamento prevede poi ampi passaggi sull’aspetto economico. Innanzitutto si chiede che gli Stati membri garantiscano che i media pubblici dispongano di finanziamenti adeguati, sostenibili e prevedibili, stanziati attraverso bilanci pluriennali. Per evitare che i mezzi di comunicazione diventino dipendenti dalla pubblicità statale, il Parlamento propone che non si possa destinare a un media, una piattaforma online o un motore di ricerca più del 15% del bilancio disponibile complessivo nazionale per la pubblicità statale. Inoltre, i criteri per l’assegnazione dei fondi pubblici ai media dovrebbero essere accessibili al pubblico. Nelle intenzioni del Parlamento, il comitato europeo per i servizi di media (un nuovo organismo dell’UE istituito con la legge per la libertà dei media) dovrebbe essere giuridicamente e funzionalmente indipendente dalla Commissione europea. I deputati chiedono anche l’istituzione di un “gruppo di esperti” indipendente, che rappresenti il settore dei media e la società civile per fornire consulenza al nuovo comitato.

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