I dati dell’Italia sulla violenza contro le donne e sui processi relativi “preoccupano” ancora il Consiglio d’Europa. Il comitato dei ministri dell’organismo internazionale che conta 46 Stati membri, monitorando l’evoluzione della situazione nel nostro Paese, ha ribadito l’inquietudine dovuta a “una percentuale costantemente elevata di procedimenti relativi alla violenza domestica e sessuale interrotti nella fase istruttoria, un uso limitato di ordinanze cautelari e un tasso significativo di violazione della stessa“. Le raccomandazioni, elaborate anche grazie ai dati forniti da D.i.Re. – Donne in Rete contro la violenza, sono arrivate in seguito all’esame delle misure prese dall’Italia per risolvere i problemi che hanno condotto la Corte europea dei diritti umani a condannare più volte l’Italia a causa della “risposta inefficace e tardiva” delle autorità alle denunce di violenza domestica. In Italia, da inizio anno, ci sono stati 84 femminicidi, ovvero una vittima ogni tre giorni: l’ultimo oggi 22 settembre ed è quello di Liliana Cojita, 56enne uccisa dal compagno nel Padovano.

Italia sollecitata su tre condanne della Cedu – Il Consiglio d’Europa si è espresso innanzitutto sull’attuazione di tre sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Le prime due sono quelle che riguardano il caso M.S. e Silvia De Giorgi. De Giorgi ha denunciato per 7 volte il marito per violenze e maltrattamenti e ha dovuto appellarsi alla Cedu per essere ascoltata. Nel 2022 è stato riconosciuto ai suoi danni un “trattamento inumano e degradante” da parte delle autorità e ha avuto diritto a un risarcimento. In loro difesa il Consiglio d’Europa è tornata a sollecitare l’Italia chiedendo di “concludere tempestivamente i procedimenti penali contro gli aggressori di M.S. e De Giorgi” e per l’ultimo caso, hanno chiesto esplicitamente “una valutazione delle autorità competenti sulla possibilità di avviare un’indagine sulle minacce di morte”. Nelle raccomandazioni si parla poi di una terza condanna, ovvero quella del 2022 per le violenze su Alessandra Landi e la morte del figlio Michele: il bambino venne ucciso dal padre Niccolò Patriarchi mentre era in braccio alla mamma che provò a difenderlo subendo numerose coltellate. “I procuratori”, scrissero i giudici nella sentenza, “sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna”. Oggi il comitato “ha invitato le autorità a mettere a disposizione della ricorrente le somme assegnate dalla Corte a Landi”. L’Italia è sorvegliata speciale del Consiglio d’Europa dalla condanna per il caso Talpis (2017), ovvero l’omicidio del figlio da parte di un padre violento su cui le autorità non sono intervenute per tempo.

Servono “dati e azioni concrete”. E maggiori sforzi sulla magistratura e sul linguaggio giudiziario – Ecco perché le raccomandazioni tornano a parlare di “preoccupazione” per la gestione italiana, seppur riconoscendo i passi avanti fatti dalle autorità italiane su diversi fronti che “riflettono la loro continua determinazione a prevenire e combattere la violenza domestica e la discriminazione di genere”. Per questo si chiede a Roma di fornire entro il 30 marzo del prossimo anno una serie di informazioni dettagliate (entro il 15 dicembre sui singoli casi). Strasburgo ha fatto sapere di attendere una valutazione completa e statistiche sui procedimenti per violenza domestica e sessuale e gli ordini di protezione, comprese le violazioni a questi ultimi. Ma anche indicazioni sulle “azioni concretamente intraprese e i progressi tangibili raggiunti” attraverso le misure supplementari previste dal piano nazionale per eradicare i pregiudizi e gli atteggiamenti che alimentano la violenza di genere e la discriminazione, che le autorità si sono impegnate ad attuare. A mancare infatti, sono i numeri e le statistiche che permettano “una valutazione esaustiva della situazione“. In particolare, si legge ancora nel documento, il comitato “ha accolto con favore l’adozione della Legge n. 53 del 2022“, che disciplina la raccolta di dati statistici sui femminicidi. Legge che però è ancora carente nella fase di attuazione. Il Comitato chiede “alle autorità a garantirne l’effettivo funzionamento e l’ambito di applicazione”. Il Consiglio d’Europa, continuano le raccomandazioni, “sottolinea l’importanza di garantire che l’impatto delle misure adottate garantisca una risposta rapida ed efficace da parte delle forze dell’ordine e della magistratura agli episodi denunciati di violenza di genere”. Prende anche “atto con interesse delle informazioni fornite sullo sviluppo delle capacità della magistratura; invita le autorità a proseguire gli sforzi per ampliare e diffondere ulteriormente la formazione mirata e pertinente, con particolare attenzione alla specializzazione dei giudici istruttori; invita ad avviare attività specifiche per promuovere l’uso di un linguaggio giudiziario sensibile al genere“.

“Occorre un sostegno concreto ai centri antiviolenza” – Per Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa riconoscono il lavoro della Rete nazionale antiviolenza e il contributo attivo al processo. “Abbiamo portato al comitato dei ministri”, ha dichiarato, “informazioni e dati che dimostrano quanto sia ancora difficile il percorso giudiziario per le donne che subiscono o hanno subito violenza”. L’avvocata della Rete D.i.Re Titti Carranno ha aggiunto: “La Corte Europea dei diritti umani nelle varie sentenze di condanna all’Italia ha sempre specificato che le norme ci sono, manca la loro concreta applicazione. Occorre un concreto sostegno ai centri antiviolenza, valorizzando il patrimonio di competenze acquisito negli anni non solo per l’accoglienza e il sostegno alle donne che subiscono violenza, ma anche per le attività di prevenzione, formazione e sensibilizzazione“. Per questo “è importante che proprio la formazione dei magistrati sia resa obbligatoria”, a partire dall’uso di “un linguaggio giudiziario sensibile al genere, come noi sempre sollecitato”.

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