La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per non aver protetto una donna e i suoi figli dalla violenza domestica terminata in tragedia. I fatti risalgono al settembre del 2018 a Scarperia (Firenze), quando un uomo uccise a coltellate il figlio di un anno, ferendo in modo grave anche la convivente e cercando di uccidere l’altra figlia. “I procuratori – si legge nella sentenza – sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla”. Lo Stato dovrà versare alla donna 32mila euro per danni morali.

Il caso è quello di Annalisa Landi e del piccolo Michele, accoltellato a Scarperia, in provincia di Firenze, dal padre Niccolò Patriarchi mentre era in braccio alla donna che tentò di salvare il bambino ricevendo lei stessa numerose coltellate. Presente al momento dell’omicidio anche l’altra figlia di 7 anni della coppia che si salvò perché la madre le fece da scudo. Secondo quanto si legge nella sentenza emessa dalla Corte, “l’inerzia delle autorità” che “erano venute erano venute meno al loro dovere di condurre un’immediata e valutazione proattiva del rischio di reiterazione degli atti violenti” nei confronti della donna e del figlio “aveva consentito al partner di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla impunemente” fino ad arrivare all’omicidio del figlio.

ça donna, ricorda la Corte nel riassumere i fatti di allora, non sapeva dei disturbo bipolare del compagno, di cui l’uomo avrebbe sofferto dall’età di 20 anni, che lo portava ad avere “cambiamenti d’umore accompagnati da impulsività, irritabilità e un comportamento estremamente violento”. Secondo quanto si legge nella ricostruzione della Corte, la donna era stata vittima di almeno 4 gravi aggressioni che avevano portato a interventi della Polizia e a un procedimento contro l’uomo con l’accusa di violenza domestica ma “senza ordini per la protezione della signora Landi e dei bambini durante la fase investigativa” nonostante fosse stata riconosciuta la “pericolosità sociale” dell’uomo dovuta alla sua malattia mentale. Il quarto e ultimo attacco è avvenuto nel settembre 2018, quando Patriarchi “era stato disturbato dal rumore causato dal suo figlio e da una telefonata arrivata alla donna”.

A giugno 2020, per Patriarchi era stata confermata in appello la pena a 20 anni di reclusione inflitta in primo grado, con rito abbreviato con l’attenuante della semi-infermità mentale, per l’omicidio del figlio di un anno e per il tentato omicidio della moglie. L’uomo era stato assolto, come avvenuto in primo grado, dall’accusa di tentato omicidio della figlia di 7 anni. Confermata anche la condanna al pagamento delle spese legali e di una provvisionale per complessivi 190mila euro.

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