C’è ancora molta confusione: molti imprenditori e dirigenti d’azienda, soprattutto nelle piccole imprese, pensano che la “sostenibilità” sia un costo e non un investimento. Viene il sospetto che non a tutti sia chiaro il concetto di sostenibilità.

Ricordiamolo: per “sostenibilità” si intende quella “condizione di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di crescita delle generazioni future”. Spostando il baricentro della definizione dall’individuo all’ azienda, il concetto diventa: “condizione di sviluppo in grado di assicurare oggi il soddisfacimento dei bisogni che saranno presenti nell’impresa stessa anche nel futuro”.

Intesa così la sostenibilità d’impresa non è altro che un invito per imprenditori e dirigenti a spostare l’asse di attenzione dalla situazione contingente e immediata a quella di medio termine o, almeno, di porre attenzione alle conseguenze del futuro delle decisioni prese obbligatoriamente per rispondere al presente.
Un esempio?

Le aziende, soprattutto PMI, in temporanea difficoltà (quando le difficoltà diventano permanenti, allora si tratta di aziende in crisi), ai primi segnali di calo di fatturato di solito, ricorrono talvolta con estrema facilità ad alleggerire immediatamente i costi del personale, inserendo nell’elenco dei candidati alla dolorosa decisione i knowledge workers, dipendenti di buona professionalità, demotivandoli e invogliandoli, grazie anche alla loro buona professionalità, a cercarsi alternative altrove. Superata la difficoltà (non, ripetiamo, la crisi), quando riprenderà vigore e dovrà rispondere alle rinnovate sfide del mercato, l’azienda si troverà in difficoltà per mancanza di quelle professionalità perse, per ricostruire le quali i tempi saranno più lunghi di quanto il mercato sia disposto ad attendere.

Un altro caso tipico? Nell’ultimo anno, aziende che avevano tarato bene il loro cash flow per il pagamento delle rate dei finanziamenti, pur sapendo con largo anticipo – ne parlavano anche su Topolino e a TelePinocchio – che molto prevedibilmente i tassi sarebbero aumentati (oggi 4,5% il tasso Bce sui rifinanziamenti principali) fino alla soglia dell’inflazione (oggi 5,5% circa), con inevitabile aumento dell’esborso di cassa, l’unica cosa che hanno saputo fare è stato rinviare (come se dal cielo poi qualcuno risolvesse il problema), per mancanza di competenze, la negoziazione con le banche fino ad arrivare al punto di non riuscire più a sostenere il peso dell’incremento dei prezzi finanziari.

Vale per questo l’esempio della cicala e della formica delle favole dello scrittore francese del XVII secolo Jean de La Fontaine. Di aziende-cicala ne ho conosciute tante nella mia esperienza. Alcune oggi non esistono più. Hanno pagato l’imprevidenza e la miopia manageriale dei tempi migliori, quando non era difficile rispondere alle sfide del momento, compiendo anche errori coperti però dal successo, attuando strategie vincenti di breve termine e ignorando la “sostenibilità” delle scelte.

Con il “senno di poi” tutti i consulenti e gli studiosi di strategia aziendale e di comportamento organizzativo sono in grado di evidenziare gli errori compiuti. E infatti vengono compulsati sempre “dopo”, quando i buoi sono già scappati. Ma se coinvolti prima (e se bravi, attenzione perché in giro c’è tanta fuffa), sarebbero stati in grado di individuarli già allora.

Peccato che non sarebbero stati ascoltati: come si fa a convincere un imprenditore o un massimo dirigente che una strategia di breve termine potrebbe non essere valida sul lungo periodo e fare danni, se questi non ha chiaro il concetto di sostenibilità? Vi assicuro che è faticoso.

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