Che il rischio di ammalarsi gravemente di Covid avesse anche una causa genetica era stato già esplorato, ma lo studio Origin dell’Istituto Mario Negri è andato a fondo di quanto accaduto nella provincia di Bergamo nei primi durissimi mesi della pandemia. E la risposta è sorprendente e ci fa allungare lo sguardo lontano nel tempo: i geni ereditati dai Neanderthal avrebbero aumentato questo rischio.

Ormai è noto: c’è un po’ di Neanderthal in alcuni di noi nel mondo. Un’eredità – traccia di un incontro dei nostri antenati primitivi con un ‘cugino’ lontano dell’uomo moderno – che in tempi di Covid si è rivelata scomoda. È un mix di geni che ha viaggiato nel nostro Dna attraverso lo spazio e il tempo, per decine di migliaia di anni. Seguendo le sue tracce attraverso la ‘doppia elica’, si approda anche a Bergamo. È il 2020 e un virus sconosciuto ha appena fatto irruzione nella vita della provincia orobica. Il resto è storia: nelle prime durissime fasi della pandemia, il coronavirus Sars-CoV-2 ha colpito gravemente non pochi abitanti dell’area, risparmiandone altri. Un team di scienziati dell’Istituto Mario Negri si è chiesto perché questa differenza e ha cominciato a indagare fin nel Dna della popolazione, a caccia di ‘indizi’ che spiegassero la maggiore suscettibilità alla malattia grave.

È così che gli autori dello studio battezzato Origin sono arrivati a puntare il dito anche sui geni ereditati dai Neanderthal, evidenziando un’associazione fra questi (più altri) e un rischio aumentato di ammalarsi in forma grave. I risultati del lavoro, pubblicato sulla rivista ‘iScience’, sono stati presentati oggi a Milano nel corso di un convegno ospitato a Palazzo Lombardia, dal presidente della Regione Attilio Fontana. Lo studio ha visto impegnati i ricercatori negli ultimi due anni nell’analisi della relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia Covid a Bergamo, che fu un epicentro della pandemia.

Gli esperti dimostrano che una certa regione del genoma umano si associa in modo significativo con il rischio di ammalarsi di Covid-19, e di ammalarsi in forma grave, nei residenti in quelle aree più colpite. “La cosa sensazionale – commenta Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs – è che 3 dei 6 geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija, che risale a 50mila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge., ma ci espone a una malattia più severa. Le ‘vittime’ del cromosoma di Neanderthal nel mondo sono forse 1 milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica”.

Per lo studio, il territorio orobico si è dunque trasformato in un laboratorio a cielo aperto. È stata infatti coinvolta l’intera comunità e alla ricerca hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia, che hanno compilato un questionario sulla loro storia clinica e familiare riferita a Covid-19. Il 92% dei partecipanti che avevano avuto Covid-19 si era infettato prima di maggio 2020. Tra questi, 12 avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre 2019. All’interno di questo ampio campione sono state selezionate 1.200 persone – tutte nate a Bergamo e provincia – divise in 3 gruppi omogenei per caratteristiche e fattori di rischio: 400 che hanno avuto una forma grave della malattia, 400 che hanno contratto il virus in forma lieve e 400 che non l’hanno contratto.

Le persone che avevano avuto Covid-19 severo avevano più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus, rispetto ai partecipanti con Covid-19 lieve o che non si erano infettati. Questo dato evidenzia un contributo della genetica alla gravità della malattia, analizzano gli esperti. I campioni di Dna sono stati analizzati mediante un ‘Dna microarray’, una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, che ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del Dna responsabile delle diverse manifestazioni della malattia. In questa regione, alcune persone – circa il 7% della popolazione italiana – hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del Dna) che vengono ereditati insieme e formano un ‘aplotipo’, ovvero l’insieme di queste variazioni. “I risultati dello studio Origin – spiega Marina Noris, responsabile del Centro di genomica umana del Mario Negri – dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell’aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi 3 volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica, rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo”.

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