E’ un sistema marcio nella fondamenta che ha adottato (e continua a utilizzare, sebbene in una forma meno sfacciata) pratiche commerciali non etiche, quanto talvolta illegittime. E’ un sistema arcaico con un management vecchio e con procedure organizzative che, in certi casi, ricordano il Pliocenico. E’ un sistema poco efficiente. E’ un sistema che ho vissuto dall’interno per 22 anni e denunciato nei miei libri e articoli (anche su questo blog).

Ma è un sistema fondamentale per lo sviluppo economico del paese. Una necessità per l’economia italiana che, ricordiamolo sempre, per il 92% delle strutture produttive del paese è formata dalle Pmi; realtà che, più delle grandi imprese, hanno bisogno di quello che il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha definito, in occasione dell’ultimo World Economic Forum, “biodiversità dell’ecosistema” volendo significare che la coesistenza in una stessa area geografica di diversi tipi di istituzione finanziaria (per modello di business, profilo giuridico, dimensione e finalità) è positivo per il progresso economico e che appiattirsi su una sola forma di banca rischia non solo di restringere la concorrenza ma di escludere dall’accesso al credito una importante fetta di potenziali clienti.

Il sistema bancario, però, si sta decimando: ogni mese che passa l’Italia perde due banche. Secondo i dati di Banca d’Italia dal 2000 al 2022, anche (ma non solo) per effetto del processo aggregativo che ha investito tutto il continente, nel nostro paese, al netto dei salvataggi di Stato (Monte dei Paschi di Siena), sono scomparse 301 banche.

Prevalentemente banche piccole e di prossimità e al Sud, dove il credito a famiglie e imprese viene garantito solo per il 7% da banche che hanno il loro quartier generale nel Mezzogiorno. E quando muoiono le banche, si riduce il numero delle filiali presenti sul territorio. Sul territorio italiano ci sono 20.986 filiali: le banche grandi e medie ne controllano il 73% (15.320) mentre le banche piccole gestiscono solo il 27% (5.666).

L’articolazione territoriale degli sportelli bancari operativi in Italia alla fine del 2022 mostra una maggiore presenza nelle regioni del Nord, che rappresentano il 57 per cento del totale nazionale (40 per cento in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto). Il numero di sportelli ubicati nelle regioni del Sud e nelle Isole ammonta complessivamente al 22 per cento del totale nazionale. Secondo uno studio della Fondazione Fiba di First Cisl, in 3.200 comuni italiani, il 41% del totale, non esiste neppure uno sportello bancario. Pertanto oltre 4,2 milioni di persone e 249 mila imprese in Italia non hanno accesso ai servizi bancari nel Comune di residenza.

Siamo assolutamente certi che la desertificazione bancaria sia un bene?

Fino a quando non si mette mano a una riforma che riguardi la governance delle aziende bancarie (requisiti professionali, onorabilità, durata del mandato, compensi), così come previsto in Sacco Bancario (Chiarelettere, 2017), continueremo ad assistere a questo suicidio collettivo. Come si fa a scegliere un buon consigliere di amministrazione garantendosi dunque l’onestà e l’etica di un consiglio?

La prima barriera seria è quella dei requisiti di professionalità: persone che se ne intendono. L’autorità bancaria europea sta andando verso il criterio che imporrà a tutti gli amministratori di banca di essere esperti di finanza: professori universitari, avvocati. Peccato, però, che in certi casi siano anche quelli che hanno maggiori abilità e chance per poterla ingarbugliare meglio, la finanza! Invece sarebbe opportuno che nei consigli di amministrazione ci fosse un buon mix di professionalità e competenze, tra cui quelle ambientali, o quelle sulla responsabilità sociale dell’impresa, competenze sociali eccetera. Non perché il singolo consigliere possa influire sulle decisioni della banca, ma perché, nella logica della vigilanza, il consiglio di amministrazione agisce con il voto collegiale e per questo, nel rispetto della pluralità dell’informazione e delle competenze, è meglio un drappello di consiglieri con un ricco assortimento di esperienze e professionalità anziché un piccolo esercito di dieci avvocati.

Quanto all’onorabilità, invece, finora l’unico strumento adottato per valutare l’onorabilità di un consigliere di amministrazione è stato il certificato dei carichi pendenti. Un passo in più rispetto al casellario giudiziale forse si potrebbe fare. Per esempio, valutare se questa persona in passato ha manifestato attitudini che la rendono degna del compito, se ha esperienze nel non profit o se è apprezzata in una cerchia territoriale dai suoi conoscenti. Viviamo in un mondo in cui si prendono per buone referenze di un hotel o di una trattoria pubblicate dalla collettività su TripAdvisor, non vedo perché non si possano ascoltare dalla collettività anche le referenze – in senso positivo – su una persona in particolare.

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