di Iris Lauriola e Pasquale Marino

Quarant’anni di servizio. Arrivederci e grazie! Sì, grazie, grazie perché sono stati decenni di lavoro duro ma sempre emozionanti. Anni di lavoro in un mondo che per definizione è complicato. Un mondo in cui nulla ti è regalato e nulla sembra regolato a priori, dove ogni spazio è da conquistare con caparbietà e tenacia, giacché ti trovi a fare un mestiere che non si impara una volta per tutte e per il quale le regole della mattina spesso non valgono la sera.

Il Consolato, il Tricolore davanti alla porta, la Festa del 2 giugno, il vestito buono… “Ah Lei lavora in un Consolato… interessante!”, il caso complicato che hai risolto, un tuo connazionale avvilito che è tornato a casa dopo aver ricevuto una mano, un consiglio, un documento che aspettava da sempre e che tu, con serietà, passione (e qualche circolare pescata chissà dove e letta di sera prima della cena) sei riuscito a procurargli… bella soddisfazione.

E poi quel Capo che non dimenticherai mai, il Dirigente di turno autorevole e intelligente, che ti capita di tanto in tanto davanti, dal quale puoi imparare qualcosa e che poi ti stringe la mano con un “Grazie, ha fatto un ottimo lavoro”; quante volte siamo andati a casa con la convinzione “non sono uno scemo qualsiasi!”.

Poi i panni sporchi… beh quelli si lavano in famiglia e noi vecchi, arrivati all’uscita dalla vita lavorativa (l’ultima tappa sarà ormai l’uscita della vita nel suo insieme), stiamo appunto parlandoci in famiglia come gli zii ai nipoti, come gli amici anziani agli amici più giovani.

Per decenni ci siamo mossi in una struttura fatta di Capi grandi, Capi piccoli, Sottocapi, Vice capi, Cape di caciocavallo e Citrulli di vario tipo ma anche di personalità eccellenti, indimenticabili, appunto. Console Generale semplice, Console Generale Ministro Plenipotenziario, Cancelliere, Commissario di primo, secondo e terzo livello, categoria A, B, C, e poi ancora “C” come contrattista, che una volta avevamo addirittura bollato sugli indirizzi delle nostre mail. Contrattista a legge italiana, contrattista a legge ibrida, contrattista a legge locale, contrattista con l’assegno familiare e senza assegno familiare, tutti lì insieme in 150 metri quadrati a bere il caffè dalle stesse tazzine.

E vacci a capire qualcosa… eppure abbiamo capito e ci siamo fatti capire! Abbiamo fatto capire che in mezzo a tutte queste categorie di uomini e donne esiste una costante che si chiama dignità e un’altra che si chiama rispetto e un’altra ancora che si chiama solidarietà.

Abbiamo ricevuto una mano dal collega accanto nei momenti di maggiore stanchezza e sbandamento. Abbiamo dato una mano al compagno di lavoro nei suoi momenti di sbandamento e stanchezza. Abbiamo trovato il coraggio di alzare la voce, quando l’arrogante di turno ha cercato di umiliarci e abbiamo dovuto capire che l’idiozia non ha sesso, non ha categoria di appartenenza, non ha posto fisso nelle gerarchie.

Abbiamo imparato a capire meglio il nostro Paese, che avevamo già lasciato per situazioni non sempre facili. Abbiamo imparato anche ad amare di più il nostro Paese con la fierezza di esserne al servizio, scoprendo che quando l’Italia è offesa in Italia è una cosa e che quando l’Italia è offesa fuori dall’Italia è tutt’altra cosa. La gola che ancora si stringe quando ti fanno sentire l’Inno degli Italiani, mentre capisci di appartenere a una Nazione senza mai essere nazionalista.

Anche a questo è servito il servizio in Consolato che è tutto da migliorare e che è tutto da difendere, ma che non ci sentiamo di disconoscere, andandocene senza sbattere la porta, in silenzio, come fanno gli anziani, senza rimpianti e nella convinzione di lasciare un sistema in cui la parola “rispetto” si sente oggi più forte e più spesso di quando ci siamo entrati 40 anni fa e, forse, anche grazie a noi, che ora ci godiamo la vita da “persone esperte” e sempre pronte all’ascolto.

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