Avete notato sulle maglie dei principali club di Serie A i loghi e i brand delle società che operano nel settore delle criptovalute? Una domanda che ci eravamo posti già qualche tempo fa per fare qualche riflessione riguardo l’etica degli affari nel mondo del football.

Il settore delle criptovalute e dei player che operano in quel campo è stato subito attenzionato dalle società calcistiche, per penetrare attraverso accordi di sponsorizzazione in altri mercati come quello del sud-est asiatico. Ma soprattutto, non prendiamoci in giro, come fonte di ricavi. Una pioggia di milioni che dovrebbero arrivare dalle società di blockchain ai big-club di Serie A. In un calcio europeo super indebitato, che secondo un’indagine del Sole 24 Ore riesce a coprire un buco di circa dieci miliardi di euro con aumenti di capitale e nuovo debito solo per il 60-80%, all’improvviso da aziende di un settore “non cristallino” arrivano risorse nettamente superiori alle cifre incassate dalle sponsorizzazioni negli anni precedenti

A tale proposito, ad esempio, non possiamo non notare che per alcune di queste società operanti nel mondo delle criptovalute sussistono alcune perplessità: Binance, sponsor della Lazio, nel luglio del 2022 non è stata autorizzata dalla Consob a prestare (alcuni) servizi e attività di investimento in Italia, così come Digitalbits, principale sponsor dell’Inter, già prima del crollo del mercato delle criptovalute non aveva mai saldato le rate della sponsorizzazione, nonostante un teorico accordo di 85 milioni di euro in quattro anni. Il calcio è uno sport popolare, così come lo sta diventando, ahinoi, anche l’investimento in criptovalute, un asset altamente speculativo che richiede, da parte dell’investitore, elevate competenze e conoscenze dei mercati. Un mercato molto volatile (le oscillazioni dei prezzi sono più marcate) che ha visto le dichiarazioni di fallimento delle piattaforme di criptovalute Voyager Digital Holding, Celsius Network e Ftx Trading.

“L’avvento della blockchain nel calcio, come in altri settori, sarà sempre più impattante – dice Giorgio Scura, direttore della testata specializzata Decripto.org – , ma bisogna stare attenti alle numerose truffe che purtroppo accompagnano ogni bolla tecnologica. Calciatori che sponsorizzano progetti truffaldini, squadre blasonate che hanno come sponsor veri e propri schemi ponzi, token e nft senza utilità e valore che sfruttano schemi pump&dump o rug pull per alleggerire i portafogli dei tifosi/risparmiatori/investitori”.

Al bar, a tavola con gli amici, sui social network e ovunque esista un microcosmo sociale, oggi tutti si chiedono (e mi chiedono) se conviene investire in moneta virtuale, senza nemmeno domandarsi di cosa si tratti. E in quel “tutti” ci sono l’imprenditore poco scolarizzato, il pensionato, la casalinga, lo studente al primo anno di Economia e il calciatore. Quello delle criptovalute è un mercato non regolamentato, cioè un luogo virtuale in cui gli operatori si incontrano per collocare, scambiare o rimborsare valori mobiliari sulla base di nessuna regola. Assenza di regolamentazione significa che il funzionamento di tale mercato, i prodotti e gli operatori ammessi non sono assoggettati alla disciplina specifica e all’autorizzazione delle autorità di vigilanza sui mercati regolamentati, e non sono iscritti nell’apposito albo. Inoltre, si tratta di fenomeni finanziari che si stanno sviluppando senza i necessari protocolli di sicurezza previsti dalla direttiva europea Mifid per la lotta contro il riciclaggio dei fondi di provenienza illecita. Si sta infatti dirottando su questi mercati virtuali troppo denaro senza applicare i metodici protocolli Kyc (Know Your Customer), necessari per l’identificazione dell’intestatario del rapporto.

Quanti tifosi, investendo i loro risparmi in criptovalute, sono già rimasti o rimarranno con il classico cerino in mano? E quanti potrebbero essere inconsciamente invogliati a buttarsi in questo rischioso trading dallo sponsor sulla maglia della loro squadra del cuore? Siamo certi che il pubblico che “acquista” calcio sia così poco sensibile a queste tematiche e dopo, fosse pure solo per crearsi un alibi per le eventuali perdite subite, non si allontani definitivamente anche dal brand/azienda di calcio?

Perché nel calcio, nei confronti dei tifosi e appassionati (che non sono i soli e principali clienti di una azienda-calcio), si applica un marketing tribale, il marketing delle tribù di consumo. Una tribù di consumo postmoderna può essere definita come un gruppo di persone accomunate dalla passione per una marca, indipendentemente dal prodotto che quella marca realizza. Tali individui condividono esperienze e rituali intorno al brand, rafforzando il senso di appartenenza dei propri membri. Nella maggior parte dei casi diventano ambasciatori della marca e creatori di un passaparola davvero efficace per il brand, poiché i messaggi comunicati dalle tribù, non essendo veicolati direttamente dalla società, risultano più credibili agli occhi dei consumatori.

Gli appartenenti alle comunità di marca sono molto più che semplici clienti fedeli: si sentono parte del brand e di tutti i valori che comunica, ne condividono gioie e dolori, e questo accade in modo particolarmente marcato nel caso delle società di calcio. La passione per una squadra spesso spinge i suoi tifosi a compiere grossi sacrifici, che i club devono essere in grado di ripagare, non solo attraverso le vittorie. Tutto ciò con il principale obiettivo di espandere la propria fan base, in modo da ottenere ritorni economici maggiori, sia direttamente, attraverso la vendita di prodotti a proprio marchio che diventano veri e propri simboli per i “rituali” delle tribù calcistiche, sia indirettamente, poiché, avendo maggiore visibilità, le società possono richiedere contratti di sponsorizzazione più elevati, vendere i diritti televisivi a prezzi più alti e, non meravigliatevi, essere anche più influenti nel convincere un’altra società ad acquistare Osimhen a 200 milioni di euro!

Attenzione, però, a non confondere le criptovalute con i fan token di cui tanto si parla in questi ultimi mesi e che stanno invadendo il mondo del calcio. Il token è però una cosa ben diversa da una criptovaluta. Ma di questo riparleremo prossimamente.

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