Un “killer professionista” pronto a scappare. Resta in carcere Paolo Bellini, terrorista nero di Avanguardia nazionale condannato in primo grado all’ergastolo nell’aprile 2022 come uno degli esecutori materiali della strage alla stazione di Bologna e arrestato lo scorso 29 giugno per le minacce nei confronti dell’ex moglie (che ha testimoniato contro lui) e del giudice che lo ha condannato. Per i giudici del Tribunale del Riesame Bellini è “persona che di fronte alla prospettiva di dover scontare l’ergastolo e non poter dare corso ai propri sentimenti di vendetta è sicuramente pronto a rendersi irreperibile e garantirsi così la libertà”. Il rischio è che possa commetta reati e/o scappare. Come chiesto dalla Procura generale può infatti contare su “contesti strutturati” che “già in passato gli hanno garantito latitanza, per sottrarsi ai rigori della legge”.

Il Riesame: “Odio contro il giudice che lo ha condannato” – Con Paolo Bellini “si è dinanzi a un soggetto per il quale la commissione di un omicidio non costituisce in alcun modo un evento traumatico, essendo avvezzo a tale genere di delitti, tanto da poter essere definito un killer professionista”. Alla luce di ciò, “dei contatti che ha o può facilmente recuperare con i contesti delinquenziali più spietati, dell’odio che prova nei confronti sia del presidente Caruso (presidente della Corte di assise che lo ha condannato all’ergastolo, ndr) che della propria ex moglie e dei parenti più prossimi, si deve ritenere che ricorrano esigenze di cautela sociale definibili di eccezionale rilevanza“. Per i magistrati “se fosse sottoposto a misure diverse dal carcere, vi sarebbe la sostanziale certezza che commetterebbe i gravissimi delitti programmati, in relazione ai quali ha maturato i propri propositi criminosi”, sebbene ristretto in quella fase in detenzione domiciliare. Bellini risulta indagato anche per la bomba a Capaci, per quelle in via dei Georgofili a Firenze, in via Palestro a Milano e in via Fauro a Roma.

Chi è Bellini – Ex estremista nero di Avanguardia nazionale, detto la “primula nera”, uomo dai mille volti, ladro di mobili antichi, truffatore, “assassino” come lui stesso si è definito, Bellini si è sempre dichiarato innocente per la strage di Bologna. Ha avuto una vita dalle mille avventure: è stato pilota d’aerei, ha girato per anni con la falsa identita di Diego da Silva, ha fatto il killer di ‘ndrangheta e persino il testimone al processo di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia del 1992 . Ha compiuto settant’anni solo pochi giorni fa, mentre risale all’aprilre del 2022 la condanna della Corte d’Assise di Bologna, come quinto esecutore della strage del 2 agosto 1980 in concorso con gli ex Nar (Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, quest’ultimo condannato solo in primo grado, l’appello è tutt’ora in corso). Dalla metà degli anni Settanta il reggiano Bellini è stato protagonista delle cronache giudiziarie. Autore di omicidi come quello nel 1975 del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, che confesserà solo nel 1999 (verrà condannato nel 2009 ma poi prosciolto per prescrizione del reato). Nel 1976 diventa latitante per sfuggire ad un mandato di cattura per tentato omicidio: si rifugia in Sudamerica, per ricomparire in Italia nel 1981 con il falso nome di Roberto Da Silva, brasiliano. Nel 1983 Bellini viene indagato la prima volta per la strage di Bologna, ma sarà in seguito scagionato.

Nel 1988 conosce in carcere l’uomo d’onore Antonino Gioè, che lo definisce “infiltrato dello Stato” nella lettera scritta prima di morire dopo gli attentati del ’93. E il pentito Giovanni Brusca lo indica come “suggeritore” della strategia per colpire i monumenti. Nel 2019, quando i magistrati della Procura generale chiedono e poi ottengono la revoca del proscioglimento disposto dal Tribunale bolognese il 28 aprile 1992, in relazione alla strage della stazione, Bellini lavora come pizzaiolo nel Lazio sotto falso nome dopo essere uscito dal programma speciale di protezione. Poi il rinvio a giudizio e l’inizio del processo nell’aprile del 2021: “Mi sento come Sacco e Vanzetti” fu il suo unico commento prima di entrare in aula. La Procura generale smonta il suo alibi che aveva retto 40 anni e la ex moglie lo riconosce in un video amatoriale girato in stazione la mattina del 2 agosto 1980, subito dopo l’esplosione della bomba che fece 85 morti e oltre 200 feriti. Il 6 aprile 2022 viene condannato all’ergastolo, in primo grado.

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