La tassa minima globale del 15%, che entrerà in vigore nel 2024 in tutta la Ue dopo il recepimento da parte dei 27, danneggerà i Paesi in via di sviluppo mentre potrebbe avvantaggiare l’Italia. Dove nel frattempo il governo, nell’ambito della delega fiscale, si è impegnato a rivedere l’Imposta sui redditi delle società sulla base del principio “chi più assume e investe, meno paga”. Il nuovo sistema consente infatti agli Stati che avranno un’aliquota effettiva poco sopra quella minima di diventare mete interessanti per le multinazionali. Secondo Giorgia Maffini, special advisor per la politica fiscale della società di consulenza Pwc a Londra, “l’Italia dopo l’entrata in vigore della global minimum tax non avrà necessità di aumentare troppo il proprio carico fiscale, visto che le imposte sono già generalmente elevate. Molti competitor in compenso usciranno dai giochi, avvantaggiandola nell’attrazione di investimenti dall’estero“. Più dubbi i guadagni in termini di ricavi per l’erario.

La minimum tax, o secondo pilastro” del nuovo sistema di tassazione del reddito delle multinazionali, è stata concordata a livello Ocse e trasposta lo scorso dicembre in una direttiva europea che va recepita entro fine anno. Punta in teoria ad arginare la concorrenza al ribasso obbligando i Paesi aderenti ad allinearsi a un livello minimo di imposizione, anche se la soglia individuata è un compromesso al ribasso criticato da ong e Osservatorio europeo sulla tassazione. Quando entrerà in vigore, le multinazionali con oltre 750 milioni di euro di ricavi dovranno versare appunto un’aliquota fiscale effettiva del 15% in ogni Paese in cui effettivamente operano. L’eventuale differenza tra aliquota effettiva e 15% potrà essere incassata da ogni Stato in cui il gruppo abbia una stabile organizzazione, se deciderà di introdurre una tassa integrativa domestica. Oppure, in seconda battuta, da quello dove ha sede la casa madre.

Nella delega fiscale all’esame del Parlamento è stata inserita nelle scorse settimane l’intenzione di introdurre l’imposizione minima globale, ma in che modo si raggiungerà l’obiettivo? L’aliquota effettiva – il parametro che conta – si calcola dividendo le imposte dovute per il profitto su cui sono state applicate. Gli incentivi fiscali possono incidere, a seconda della tipologia, sul numeratore o sul denominatore, riducendo l’imponibile o l’imposta. Oggi l’imposta italiana sui redditi delle società (Ires) ha un’unica aliquota del 24% ma il governo ha intenzione di sdoppiarla, prevedendone una più bassa per chi assume o investe. Nel farlo dovrà però evitare che esenzioni, detrazioni e deduzioni facciano scendere l’aliquota sotto il 15% comportando un trasferimento del beneficio al Paese in cui ha sede la casa madre dell’azienda. Bankitalia, in audizione sulla delega, ha avvertito che un sistema a due aliquote “da un lato appare in linea con la direttiva, in quanto incentiverebbe gli stessi fattori produttivi (investimenti e lavoro) cui le regole sulla tassazione minima attribuiscono un ruolo premiante nella determinazione dell’eventuale imposta aggiuntiva; dall’altro, però, potrebbe avere ricadute peggiori sul calcolo della tassazione effettiva rispetto ad altre forme di incentivo sotto forma di credito d’imposta”.

Maffini e l’economista Alberto Zanardi, membro del comitato scientifico dell’Ufficio parlamentare di bilancio, su lavoce.info hanno notato che al momento l’Italia è ben posizionata per piazzarsi tra i “vincitori” a valle di questa revisione del sistema di regole di tassazione internazionale. Per farlo occorre però usare “strategicamente” strumenti come i crediti per la ricerca e sviluppo, il patent box o l’allowance for corporate equity (Ace): “I primi non riducono la tassazione effettiva ai fini del calcolo dell’imposta minima. Il patent box e l’Ace”, che abbattono rispettivamente il reddito imponibile e l’imposta, “permettono invece di combinare reddito ad alta imposizione con reddito a bassa imposizione nella stessa giurisdizione per arrivare a una media appena sopra il 15 per cento“. Strategia che eviterebbe il rischio di vedere gli incentivi fiscali trasformarsi in un costo netto e potrebbe attrarre investimenti. Anche se, chiarisce Maffini, l’Italia continua a scontare un carico fiscale elevato rispetto a quello di molti competitor, “molta incertezza del quadro normativo e un alto numero di controversie”.

Più complicato, secondo la consulente che in passato è stata vice capo della divisione di Politica fiscale e statistiche presso l’Ocse, immaginare un forte guadagno in termini di gettito fiscale grazie a un’imposizione più elevata sulle filiali esterni delle (poche) multinazionali italiane, soprattutto grandi banche e big energetici. Le stime sugli effetti globali del secondo pilastro sono del resto decisamente ballerine. L’Ocse nel gennaio 2023 ha rivisto al rialzo le previsioni sulle entrate attese da 150 a 220 miliardi di dollari l’anno a livello globale. Per l’Fmi non si supereranno i 146 miliardi. Secondo l’Osservatorio fiscale europeo il gettito per la Ue sarà nel primo anno di 63,9 miliardi, di cui 2,3 incassati dall’Italia.

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