Allungare i mutui per abbassare l’importo delle rate ed evitare che le famiglie smettano di pagare conviene a tutti. L’impatto sul sistema bancario e, a cascata, sulla tenuta finanziaria del Paese, sarebbe importante. Lo sa bene il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. E lo sa bene anche la lobby delle banche, l’Abi. Così trovare un’intesa che risolva il problema del caro mutuo per i debitori in affanno, mettendo in sicurezza il sistema bancario, non sarà difficile.

Non a caso il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, nel corso dell’assemblea dell’associazione mercoledì 5 luglio ha fatto sapere che gli istituti hanno raccolto l’invito del governo e in particolare del ministro Giorgetti, ad allungare la durata dei mutui variabili, che rappresentano circa un terzo dello stock del debito e con il rialzo dei tassi disposto dalla Banca Centrale Europea stanno galoppando da quasi un anno. “Disponibilità” dichiarata anche da parte di Intesa Sanpaolo per voce del suo presidente Gian Maria Gros-Pietro e dal mondo del credito cooperativo. Unicredit, dal canto suo, da circa un mese consente di sospendere la quota capitale o l’allungamento della scadenza per un periodo fino a un massimo di 4 anni.

Quella dell’allungamento della durata è misura che le banche possono fare, sempre però nei limiti imposti dalla vigilanza e dalle norme europee. E il consumatore deve valutare se sia conveniente e non aumenti troppo gli interessi pagati complessivamente. Peraltro non è possibile applicarla a chi le rate ha iniziato a non pagarle visto che il credito, in quel caso, è già classificato come deteriorato. La rimodulazione, avvisa il Codacons, va sempre controllata con attenzione. Se un mutuo di 120mila euro per una durata di 25 anni (Taeg del 4,38%) lo si allunga ad una durata di 30 anni, gli interessi da corrispondere alla banca salgono in totale a 91.566,67 euro, con un incremento di ben 17.390 euro in appena 5 anni, ossia 3.478 euro all’anno. “Servono delle garanzie in favor dei cittadini”, spiega l’associazione.

Per Gros Pietro non “serve” uno specifico protocollo fra governo e istituti di credito. Il presidente di Intesa ha spiegato come “se un prestito viene ristrutturato e la variazione supera l’1% è considerato deteriorato. La proposta è di allungare il prestito in modo che la stessa cifra sia ripartita in un numero maggiore di anni e questo è utile in un momento in cui le famiglie e le imprese hanno difficoltà”. Le banche, ha aggiunto, sono “favorevoli e hanno il potere di farlo, quelle che lo vogliono, nell’ambito delle regole esistenti che nemmeno il governo può cambiare”.

Patuelli chiede “un cambio delle regole rigide, troppo rigide” dell’Eba (l’autorità bancaria europea) per chi è in ritardo sui pagamento delle rate dei mutui che non permette alle banche una maggiore flessibilità. E sottolinea come ci siano “evidenti rischi per il credito a imprese e famiglie che, in dieci anni di tassi a zero, spesso non avevano previsto i rapidi aumenti dei tassi e le riduzioni della liquidità“. E sulla lotta all’inflazione rileva che “non può dipendere solo dalle banche centrali”, mentre giudica “saggia, autorevole, coerente e lungimirante è la posizione della Banca d’Italia per evitare eccessive strette monetarie e penalizzazioni del Pil”.

Analogamente Giorgetti rileva come “l’azione delle banche centrali per contrastare l’inflazione è comprensibile ma parimenti comprensibile è il timore degli effetti recessivi per l’economia europea ancora sotto stress” per i danni del Covid e della guerra.
In Italia, ad esempio, gli effetti dei tassi più elevati iniziano già a vedersi: “Date le condizioni di finanziamento più restrittive e il rallentamento del commercio internazionale – spiega il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco – ci attendiamo che il Pil aumenti in misura moderata nei prossimi trimestri”. E stima una crescita del prodotto che potrebbe superare l’1% quest’anno per mantenersi intorno a questi livelli anche nel prossimo biennio. Cruciale sarà comunque il contributo del Pnrr, il rispetto del timing per riforme e investimenti.

L’effetto tassi, però, si fa sentire anche per il mondo del credito. Visco assicura che “le condizioni del sistema bancario italiano sono complessivamente soddisfacenti”, ma avverte appunto che l’incertezza rimane tuttavia ancora elevata. “Nei primi tre mesi di quest’anno l’incidenza del flusso di prestiti che presentano ritardi nei pagamenti, anche se non ancora tali da richiedere una classificazione come deteriorati, è raddoppiata all’1,6% del complesso dei finanziamenti in bonis in ragione d’anno”, osserva. Per tamponare il pericolo si dovrà, tra l’altro, “assicurare un adeguato livello di copertura dei crediti deteriorati, soprattutto per le banche meno significative”.

È cosa nota che dopo un decennio di cali, i crediti deteriorati siano in costante aumento dall’anno scorso e per il 2023 è previsto un nuovo record sull’andamento del triennio 2022-24. In tutto questo la fiducia dei mercati sull’Italia non è al massimo se i titoli di Stato del Paese a dieci anni al momento e a valle di una giornata di raffreddamento, pagano più del 4% d’interesse, il 4,16 per cento. Contro il 3,76% della Grecia.

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