Solo ieri da Bruxelles era arrivata una posizione nettissima: “Chi è genitore in uno Stato deve esserlo anche negli altri Paesi membri”. Oggi da Strasburgo una decisione contraria. La Corte europea dei diritti umani ha dichiarato inammissibili una serie di ricorsi contro l’Italia di coppie dello stesso sesso che chiedevano di condannare il Paese perché non permette di trascrivere all’anagrafe gli atti di nascita legalmente riconosciuti all’estero per bambini nati usando la gestazione per altri (maternità surrogata). La stessa decisione è stata presa anche per il ricorso di una coppia eterosessuale. Alla Cedu, istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, aderiscono tutti i membri del Consiglio d’Europa, mentre l’organo giurisdizionale della Unione europea è la Corte di Giustizia. La Corte in una nota ha spiegato le ragioni della sua decisione. “Il desiderio delle coppie di veder riconosciuto un legame tra i bambini e i loro genitori intenzionali – osservano i giudici di Strasburgo – non si è scontrato con un’impossibilità generale e assoluta, dal momento che avevano a disposizione l’opzione dell’adozione e non l’avevano utilizzata“.

La questione delle trascrizioni – con l’impugnazione da parte della procura di Padova di 33 atti di nascita di bambini e bambine con due mamme – è tornata argomento di discussione politica accesa: da parte il governo, con la ministra Roccella, che indica la strada delle adozione e dall’altra le famiglie arcobaleno che dicono che loro sono già genitori. Sul riconoscimento quanto prima dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali, anche introducendo nuove forme di adozione che garantiscano “tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati” dalle coppie dello stesso sesso, è stata la richiesta rivolta al Parlamento nel 2021 dalla Corte costituzionale con due sentenze, una delle quali (la numero 32) firmata da Silvana Sciarra, all’epoca non ancora presidente. “Questa Corte non può esimersi dall’affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore“, scriveva allora Sciarra. È “indifferibile” da parte del legislatore individuare delle “soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”, sottolieneava l’altra sentenza (la numero 33) redatta dal giudice Francesco Viganò.

Con le due pronunce la Consulta dichiarò inammissibili le questioni sollevate in relazione alla legge 40 sulla fecondazione assistita dal tribunale di Padova e dalla Corte di Cassazione, per “cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore”, di “fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica”. Ma quel monito a distanza di due anni è rimasto totalmente inascoltato.

Al centro di una delle due pronunce il caso del figlio di due papà nato all’estero da maternità surrogata. I giudici del Canada avevano dichiarato tutti e due gli uomini come genitori, ma in Italia il riconoscimento c’era stato solo per il padre biologico. Nella sentenza 33 la Consulta ribadisce che il divieto di ricorrere alla pratica della maternità surrogata risponde a una logica di tutela della dignità della donna, ma fa presente che l’interesse del figlio è quello di “ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia”. Legami che “sono, infatti, parte integrante della stessa identità del minore”, scrivono i giudici costituzionali sottolineando che “l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale”. L’altra pronuncia riguardava invece due gemelle nate nell’ambito di un progetto di procreazione assistita all’estero di due donne, la cui storia era finita poi in pezzi, con l’esclusione della mamma intenzionale da qualunque rapporto con le bambine. È proprio in relazione a casi come questo che la Corte parla di vuoto di tutela che il Parlamento “dovrà al più presto colmare”, a fronte di diritti dei minori “incomprimibili”: quelli “alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione “e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise”. “Si auspica una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale”, l’appello della Consulta caduto però nel vuoto.

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