Il calcio è lo sport più bello del mondo perché non sempre vince la squadra più forte. Non stavolta. Non a Istanbul, non nella finale di Champions League. Il Manchester City di Guardiola e Haaland, ricco, favoritissimo, praticamente imbattibile, è campione d’Europa. Gli inglesi conquistano la coppa che inseguivano da anni a suon di miliardi, e un Treble a suo modo storico. L’Inter difende, lotta, si ribella a un destino già scritto, spreca. Ma alla fine si arrende: 1-0, al gol di Rodri nella ripresa e alla superiorità degli avversari, che c’era, ma quasi non si è vista sul campo, se non fosse per il risultato, dettaglio tutt’altro che trascurabile. Si potrebbe dire che alla fine ha fatto la differenza semplicemente la maggiore qualità del City ed è senz’altro così, perché se quando si è trattato di cambiare la gara Guardiola ha inserito Foden e Walker mentre Inzaghi si è dovuto rivolgere a Bellanova e D’Ambrosio, qualcosa vorrà pur dire. Ma la parola qualità va spiegata e in questo caso specifico si è tradotta soprattutto in una differente intensità, di pressing, di giro palla, di tutto. In uno strapotere fisico che è stato senz’altro un fattore, togliendo quel tempo di giocata che di solito è il marchio di fabbrica dei nerazzurri di Inzaghi. Quando attaccavano, gli uomini di Pep arrivavano a velocità doppia, quando difendevano recuperavano in metà del tempo. Questo, alla lunga, ha scavato il divario.

Piccolo, minimo, un solo gol, ma nel calcio basta per segnare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Rimorsi l’Inter ne ha, non rimpianti. Perché ha giocato la sua finale, una grande finale. Soprattutto quando sembrava averla ormai persa, dopo che la diga eretta con l’attenzione e la difesa, capace di fermare per un’ora la macchina da gol di Guardiola, era crollata. E invece proprio nel finale l’Inter ha collezionato le sue occasioni, alcune addirittura clamorose, che avrebbero potuto far cambiare direzione alla gara, portarla almeno ai supplementari. E per certi versi sarebbe stato anche meritato. Invece la coppa finisce nelle mani degli inglesi. È stata una finale spaccata in due dal gol decisivo. Sempre equilibrata, ma in maniera diversa. Per un’ora in quella più canonica: il Manchester che manovra, pressa, attacca. L’Inter che prova ad innescare le sue armi, i cambi di gioco, il recupero palla, ma non ci riesce più di tanto e si limita a contenere. L’avvio è difficile: Bernardo Silva prova a mettere subito le cose in chiaro, il suo sinistro fatato pietrifica Onana e sfiora l’incrocio. Nei primissimi minuti il pressing degli inglesi arriva fin quasi nell’area piccola, l’Inter fatica a respirare; Brozovic da play è quello che ne soffre di più. Il primo tempo potrebbe considerarsi anche equilibrato, se non fosse che il Manchester ogni volta che ricama nello stretto o attacca la profondità con Haaland, fa paura.

Questo copione regge fin quando regge lo 0-0. Nella ripresa arriva anche la prima occasione nerazzurra, questa casuale, per un retropassaggio sbagliato di Silva, ma l’angolo di Lautaro è troppo stretto per superare il portiere. Aumenta la tensione, cala la concentrazione, è il momento in cui la partita si può rompere. Purtroppo si rompe per l’Inter, a 20 minuti dalla fine, con la prima imbucata che sorprende la retroguardia e sulla palla a rimorchio arriva il piazzato vincente di Rodri. Il City straripa, sembra finita. Invece qui l’Inter trova delle energie che sembrava non avere. E fa tremare davvero Guardiola. Spreca la palla dell’immediato pareggio con Dimarco, che di testa colpisce prima la trasversa e poi Lukaku (ma forse c’era fuorigioco. Onana salva il colpo del ko di Foden e rimanda ancora l’epilogo. Fino al 90’, quando nella più grande occasione della partita, il colpo di testa a botta sicura di Lukaku viene salvato sulla linea da Ederson, e poi il rimpallo scivola fuori. Solo ora le speranze nerazzurre si spengono davvero, e nemmeno allora perché Ederson parerà ancora sull’ultimo angolo dell’ultimo secondo di recupero. Rimangono le braci di una Champions straordinaria, di una grande finale. Comunque di una sconfitta.

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