Roma come Firenze, Napoli come Venezia o Bologna. Le città d’arte, ciascuna con le sue particolarità, stanno vivendo un identico processo che sta trasformando soprattutto i loro centri storici in luoghi sempre più inaccessibili a persone comuni, residenti, cittadini e cittadine del nostro paese. Centri storici trasformati in spazi destinati ormai al mero divertimento dei turisti che li visitano inconsapevoli. Centri senza più un’anima e sempre più in preda al degrado, al rumore, alla sporcizia, con interi palazzi trasformati in alloggi per turisti, con residenti costretti ad andarsene per l’impossibilità, letterale, di vivere, di dormire, di fare una vita normale.

Il principale responsabile di questa situazione ormai ai limiti dell’insostenibile è senz’altro il mercato, in preda alla total deregulation, degli affitti brevi. Poiché non esiste alcun tetto né limite, questi affitti, ovvero le case vacanze, hanno proliferato incontrollati, senza che nessuna città italiana ne pianificasse la proporzione. Talvolta abusivi – magari costruiti in locali commerciali o frazionando appartamenti – oppure regolari, in questi anni post pandemia hanno ripreso a crescere in maniera forsennata. Si calcola che, ad esempio, a Roma, nelle zone turistiche siano ormai un quarto degli appartamenti, ma la stima potrebbe essere al ribasso.

Più ristoranti, più rumore, più immondizia, più degrado

L’afflusso massiccio di turisti provoca ovviamente la proliferazione dei ristoranti, anch’essi – parlo soprattutto per Roma che ben conosco – spesso incuranti delle regole, se è vero che ormai i tavolini sono messi ovunque, occupano strisce blu, marciapiedi, senza più logica né pudore da parte dei proprietari, tanto che ormai si cammina facendo slalom tra persone che mangiano. La polizia fa pochissimi controlli, i tavolini rovesciati in strada sono più di quelli permessi e spesso, con la loro bruttezza e il loro ingombro, distruggono piazze storiche un tempo bellissime.

Non solo: più ristoranti significa più rumore. E significa più sporcizia. In generale, se una città come Roma arriva ad avere anche un milione di turisti in più al giorno nei periodi di massimo afflusso, è ovvio che l’immondizia sarà molta, molta di più. Ma i comuni, parlo sempre per Roma, provvedono magari alla pulizia dei maxi eventi, ma non aumentano pulizia in strada e raccolta differenziata in base al numero di turisti. I quali, mi riferisco sempre a Roma, ma il fenomeno è comune, non sapendo le regole della raccolta e non essendoci cestini in centro, perché sono pochissimi, buttano l’immondizia dove possono, magari nascondendola tra le piccole vie dove è meno visibile e dove resta per settimane, ad uso di topi e gabbiani. D’altronde, per fare un esempio, l’amministrazione romana non prevede piazzole di raccolta rifiuti in centro dal sabato alle 18 fino a lunedì. Un turista che esce da un appartamento sabato o domenica cosa dovrebbe fare? Chi controlla che i proprietari diano indicazioni corrette su come e dove gettarli?

Prezzi alle stelle, dai supermercati alle case. E una vita impossibile per i cittadini

La turistizzazione dei centri storici ha altre conseguenze pesantissime per le persone comuni. Aumentano i prezzi di qualsiasi cosa, anche dei servizi per i residenti, come i supermercati. Chi vive in centro deve cambiare quartiere per fare la spesa, non potendo più farla ai supermercati sotto casa, ormai popolati solo da turisti e dove un litro di latte costa tre euro. Impossibile pure mangiare una pizza, pur essendo circondati da ristoranti, perché appunto affollati da turisti in maniera inverosimile. Impossibile portare i propri bambini a vedere monumenti, prenotati da mesi magari da maxi agenzie che li comprano in blocco per poi rivenderli a prezzi altissimi. Impossibile anche prendere i mezzi, a Roma ci sono solo due linee ed è ovvio che se parte di quel milione di turisti la utilizza le persone che vanno al lavoro non riescono più ad entrare.

Ma ancora peggio di questo, ovviamente, c’è l’aumento degli affitti per i cittadini e le cittadine. Anzitutto, non si trovano più appartamenti da affittare, mentre le persone che vengono per lavoro a Roma devono pagare cifre mostruose per dormire. In secondo luogo, crescono gli affitti a livelli insostenibili per famiglie e residenti, espulsi dai centri storici, quelli tanto pubblicizzati dai film e dalle serie tv i cui camion occupano per giorni le strade del centro, senza pagare neanche un euro di occupazione di suolo pubblico perché promuovono la città, come se mancassero i turisti. Il problema è il contrario: nei centri storici si vedono solo turisti che ormai scorrazzano con le vespe, i risciò, i monopattini e ogni possibile mezzo. Vivono l’Italia come un luogo di cuccagna e deregulation, all’insegna del “mangia, prega, ama” (ma soprattutto mangia) e hanno pure ragione, perché i controlli sono praticamente inesistenti. L’italiano è ormai una lingua misconosciuta, si parla solo inglese.

La notte la gente non riesce a dormire, i turisti vanno a letto tardissimo, stanno in terrazza a bere e urlare, oppure nei tavolini esterni dei ristoranti. Provate a vivere in un condominio dove ci sono ormai solo turisti. Le entrate e le uscite provocano un fracasso tremendo, è un via vai continuo a tutto le ore del giorno e che sottopone chi ci abita a stress. Per non parlare del fatto che non c’è più nessun legame comunitario, nulla di nulla. Per non parlare della sicurezza. D’altronde questi centri storici turistizzati sono diventati parchi storici, di cui i residenti sono mere comparse.

Regole in tutta Europa. Da noi, invece c’è la proposta Santanché

Ma la cosa che più fa male è vedere che l’Italia è l’unico paese a non aver messo freno a questo scempio. Già da anni tutte le città europee, con tentativi più o meno riusciti, hanno provato a fermare un processo che rischia, sostengono gli esperti, di non essere più reversibile. Non esiste praticamente grande capitale che non abbia capito quanto pericolosa era questa deriva e quanto necessario arginarla. Da noi il dibattito è arrivato agli onori delle cronache da poco, quando infatti la situazione è diventata talmente allucinante da non poter più negare l’evidenza. La ministra Daniela Santanchè – sì, il destino delle nostre città d’arte è nelle sue mani – non capendo la gravità di quanto sta accadendo e non volendo probabilmente andare contro a nessuna lobby si è arroccata su un patetico ritornello per cui “la proprietà privata è sacra” – che non vuol dire nulla, qui nessuno vuole toccare la proprietà privata ma regolare un fenomeno impazzito – e ha proposto un ridicolo limite di due notti per le case vacanze (che penalizza chi viene per lavoro e non scalfisce i proprietari che praticamente mai affittano per un giorno solo).

Va dato merito al sindaco di Firenze Dario Nardella di aver deciso di rompere il fronte del mutismo con una proposta dirompente ma giusta. Ovvero quella che prevede da un lato di porre dei limiti al numero di licenze incontrollate in zona Unesco (anche se tra gli esperti c’è chi propone di estendere il tetto a tutte le altre zone, per evitare che vengano “turistizzate” di conseguenza), dall’altra di dare giustamente sgravi e premi a chi affitta a famiglie e studenti, ad esempio l’eliminazione nell’Imu per tre anni. È possibile che questa normativa, se attuata, andrà incontro a ricorsi, anche perché manca una legge nazionale. Ma un margine di azione i sindaci ce l’hanno ed è merito di Nardella aver dato voce a un’insofferenza generale.

Le proposte dei comitati locali

L’altra nota positiva in questa deriva capitalista senza limiti che si sta mangiando tutti i centri storici italiani, il nostro patrimonio, la nostra identità, cacciando i cittadini e le cittadine dalle loro città e destinandoli alle periferie, sono i comitati dei residenti dei centri. Si sono formati negli anni e ormai lottano con tutti gli strumenti possibili: protesta di piazza, ma anche azioni legali, ma anche lavoro di confronto con le istituzioni e i politici locali. Piano piano stanno guadagnando un’autorevolezza crescente.

Proprio di recente, uno di essi, il comitato Rione Monti di Roma, ha deciso di approfondire il tema affitti brevi, creando un gruppo di lavoro sul tema che ha prodotto uno studio di qualità, con proposte concrete. Che sono state discusse martedì in un incontro affollato a cui hanno partecipato molti esperti del tema, tra cui il prof. Filippo Celata, la giornalista Sarah Gainsforth, la presidente del primo municipio di Roma (che comprende tutto il centro storico più altri due quartieri, praticamente un’immensa città) Lorenza Bonaccorsi, Marta Bonafoni della Regione Lazio, Alessandro Onorato, l’Assessore capitolino ai Grandi eventi, Sport, Turismo e Moda, Tobia Zevi, Assessore capitolino al Patrimonio e alle Politiche abitative, ma anche un rappresentante della Campagna Alta tensione educativa. Sono intervenuti anche il sindaco di Bologna Lepore con una lettera e quello di Firenze Nardella con un messaggio video.

Cito questi nomi per mostrare come per risolvere un problema complesso come quello degli affitti brevi bisogna agire su più fronti e con più competenze, come ha ricordato lo stesso Celata. E la presenza di tutti i fronti è necessaria, dai sindaci, ai residenti, agli esperti, agli amministratori locali. Ma l’incontro ha dimostrato come ci si possa mettere intorno a un tavolo e discutere di idee che, alla fine, si basano sul buon senso e sul comune desiderio di non vedere Roma distrutta. Tra le proposte del Comitato c’è ad esempio, una percentuale massima di case vacanze nei palazzi (10%), una task force che intervenga sulle irregolarità, un numero verde contro rumori, schiamazzi, problemi di sicurezza, la riduzione a uno degli appartamenti gestibili secondo modalità non imprenditoriali ed altre misure. Su queste idee concrete la politica dovrebbe confrontarsi, perché vengono da persone che il territorio lo vivono davvero.

La soluzione verrà dal basso

Purtroppo, abbiamo un governo di centrodestra incapace di capire la complessità di problemi enormi e cruciali per la vita delle persone come la questione delle politiche abitative e del degrado dei centri storici. Un governo soprattutto contrario ad ogni forma di regolamentazione, perché a quanto pare vige solo il dominio incontrastato del più forte e del mercato. Visione aberrante e soprattutto incoerente con la pretesa tutela dei deboli che la destra “sociale” si vanta di portare avanti.

Come al solito in Italia, dunque, se una soluzione ci sarà, verrà dal basso. Dalla lotta di sindaci illuminati e non persi dietro maxi eventi e una concezione della città che avrebbe come unico ruolo quello di “meravigliare” (come ha detto Gualtieri di recente dopo la pulizia della Fontana di Trevi dopo l’azione di Ultima Generazione). E dai comitati di cittadini, fatti di persone tenaci che al loro lavoro aggiungono un secondo lavoro faticoso, spesso frustrante, segnato da delusioni e dall’angoscia di fronte alla violenza dei soldi che ogni giorni si prende un pezzo delle nostre città in più nell’indifferenza generale. Ma anche fatto di soddisfazioni per piccole e grandi vittorie in difesa del centro storico. E non solo per se stessi ma per tutti quanti, i residenti dei centri, i cittadini e le cittadine della propria città. E in definitiva anche i turisti. Che spesso, vale soprattutto per Roma, non tornano più, scioccati dalla folla, dalla sporcizia, dalle file interminabili e da mezzi al collasso.

Più che la meraviglia cui allude l’infelice campagna della ministra, qui c’è solo l’incredulità di fronte a come vengono (non) gestite città che sarebbero, in fin dei conti, patrimonio dell’umanità.

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