Ci sono altri 17 poliziotti nel mirino della procura di Verona. Sono tutti indagati – a vario titolo – per gli episodi di torture, maltrattamenti e peculato nell’inchiesta che martedì ha portato all’arresto di cinque colleghi in servizi alle Volanti. I pubblici ministeri che hanno coordinato l’inchiesta hanno avanzato alla giudice per le indagini preliminari Livia Magri l’applicazione di misure interdittive nei loro confronti. Gli inquirenti, in particolare, hanno chiesto la sospensione dal servizio o il trasferimento d’ufficio.

Nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice sottolinea che nei loro confronti “occorrerà fissare il preventivo interrogatorio prima della decisione”. Verrà dunque emessa un’altra ordinanza relativa a questi eventuali provvedimenti. Nel frattempo il questore Roberto Massucci, come noto, ha comunque già disposto nelle scorse settimane lo spostamento d’ufficio per 23 poliziotti in servizio al reparto.

Nelle prossime ore saranno fissati gli interrogatori di garanzia dei cinque agenti finiti ai domiciliari, oltre al reato di tortura, vengono contestati, a diverso titolo, anche quelli di lesioni, falso, omissioni di atti d’ufficio, peculato e abuso d’ufficio. Uno degli arrestati si vantava al telefono con la fidanzata: “Adesso ti faccio vedere io quante capocciate alla porta dai, boom boom boom boom”. “E io ridevo come un pazzo”, raccontava alla ragazza. Parlava delle “stecche” sul volto, dei calci e dei pugni. “Ho caricato una stecca amò, bam, lui chiude gli occhi, di sasso per terra è andato a finire, è rimasto a terra”, raccontava al telefono.

La vicenda risale al 22 agosto scorso, quando l’uomo portato in questura viene visto da una Volante, probabilmente dopo aver assunto alcol e sostanze stupefacenti, e condotto negli uffici della polizia per accertamenti. Messo nell’”acquario” si trova assieme ad altre tre persone, cittadini nordafricani anch’essi fermati dagli agenti. Saranno questi tre a confermare la dinamica dell’episodio.

L’uomo, un italiano sulla trentina, avrebbe dapprima tirato alcune testate alle pareti in plexiglas della stanza, uno degli agenti lo avrebbe quindi invitato a uscire, sapendo che all’esterno della stanza non vi sono videocamere di sorveglianza, e lo avrebbe colpito facendogli sbattere la testa sulla porta. Tornato dentro, il giovane ha iniziato a inveire nuovamente contro gli agenti, fatto uscire ancora e qui colpito con un pugno al volto che lo ha fatto stramazzare a terra. Un terzo agente, aizzato dal collega, lo avrebbe infine colpito con calci alla schiena.

Gli inquirenti hanno sentito la vittima il primo dicembre scorso nel carcere di Montorio, ma l’uomo ha dichiarato di non ricordare assolutamente nulla, perché sotto l’effetto di farmaci e alcol. I fatti hanno poi trovato conferma nel racconto dei tre che erano con lui, e che hanno riconosciuto gli agenti in fotografia, raccontando i fatti come aveva fatto lo stesso poliziotto con la sua ragazza. Per questo, la giudice ha configurato il reato di tortura nella forma del ‘dolo intenzionale’, considerando il “vero e proprio godimento” mostrato dall’agente nei confronti dell’uomo che, scrive, “senza aver commesso reati di sorta e semplicemente fermato per identificazione, si è trovato tra le grinfie di quegli indegni operanti di polizia”.

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