Si gioca.

Torneo under 16, aperta campagna, profumo di panino e salsiccia, una buona ragione.
L’allenatore dei gialli protesta con arroganza, continuamente, l’arbitro lo richiama verbalmente. L’allenatore fa l’offeso. Si appoggia alla panchina. Sono passati solo dieci minuti. I primi venti della partita sono una foga dei gialli che poco ha a che vedere con una partita di calcio, l’inferiorità tecnica è compensata da ciò che non è consentito. Almeno un paio di giocatori della squadra celeste accetta le provocazioni e le restituisce. Dalle panchine, gli allenatori stanno al (brutto) gioco.

L’arbitro è già stanco, corre poco, come un nonno costretto a tenere ancora il nipote ma non ha più la pazienza. L’arbitro lascia correre, le squadre si abituano che tutto è concesso.
La squadra celeste sbaglia sotto porta, i gialli non fanno un tiro, fino a quando un lancio in profondità non mette l’attaccante a tu per tu col portiere, che sceglie bene il tempo ed esce sui piedi dell’avversario. L’attaccante, anticipato, non evita l’impatto.

Il portiere resta a terra, rannicchiato sulla palla, è immobile. L’attaccante si rialza, dalla panchina s’avvicina il massaggiatore, ghiaccio alla testa del portiere, che ora lascia la palla, ha le gambe stese. Non si rialza. L’attaccante capisce e forse, senza quell’inutile enfasi istruita dalla panchina, avrebbe saltato il portiere, che ora stende le gambe, non si muove. Non sta fingendo. L’attaccante si rende conto e non si allontana, aspetta che passi il presentimento, che il portiere si rialzi, allunga la mano, si scusa, è di nuovo in piedi. Il portiere chiede il cambio, l’allenatore lo esorta a continuare. Un paio di minuti e il portiere fatica a vedere la palla, chiede il cambio, viene fatto stendere a terra, ancora ghiaccio, non è da lui fingere. Lo conosco: è mio figlio.

L’allenatore dei gialli ostenta virilità: “Non siamo delle femminucce… Non facciamo le signorine”, educa la propria squadra a qualità che i piedi non riescono. Nessuno dei giocatori in campo è espressione di quella inutile foga, ma è sintomo di qualcuno che li ha istruiti, troppi colpi scorretti, essere avversari leali conta sempre meno, bisogna ascoltare il mister, che l’ha imparato alla televisione, che allena ad essere più “furbi” non più bravi.

Finisce questo inutile 0 a 0, nessuno impedisce che le due squadre arrivino a contatto all’uscita dal campo. Ancora tensione, ancora tutto inutile, come un arbitro che aspira a sbadigliare, ma tocca questo, non se ne trovano.

Rimpiango non aver più la passione per urlare incitamenti, fare il tifo, tenere su la squadra. Sempre più ragazzini che imitano influencer di seria A, sempre più allenatori col mito infranto di se stessi. Sempre più genitori che si accontentano di vincere.
È andata bene: alle 02 e 30 di questa notte la TAC del Pronto Soccorso non rivela conseguenze, se non un lieve trauma cranico alla testa del portiere, mio figlio. Ma avrebbe potuto essere il figlio di ognuno.

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