Pierpaola Romano aveva 58 anni. È morta mercoledì 31 maggio, tre colpi di pistola alla testa esplosi a distanza ravvicinata. Non ha avuto scampo, stava uscendo. L’hanno trovata nell’androne in ginocchio, piedi rivolti verso la sua casa, le ginocchia a terra e la faccia in su.
Il suo assassino è Massimiliano Carpineti. La uccide sull’uscio di casa, poi sale in macchina, fa trecento metri, si ferma e si uccide.
Femminicidio.

Giulia Tramontano aveva 29 anni, era incinta al settimo mese. È morta sabato scorso, tre coltellate al collo.
Alessandro Impagnatiello è il suo assassino. Ha provato anche a bruciare il corpo, prima nella vasca da bagno, poi nel box auto. Per tre giorni avrebbe girato con il cadavere di Giulia in auto. Con il telefono di Giulia, per depistare, si finge Giulia e invia messaggi, come quello alla mamma della ragazza: “Non ti preoccupare madre ora vado a riposare”.
Ha premeditato tutto, cercato su internet come si uccide e brucia un cadavere.
Femminicidio!

Il femminicidio è una forma estrema di violenza, violenza misogina e sessista. Radicata nelle nostre società.

La violenza brutale sul corpo delle donne irrompe spesso nella cronaca quotidiana. Arriva come un uragano, spazza via ogni sicurezza. Annienta la nostra serenità. Siamo tutte potenziali vittime.

Vorrei non sapere più niente di come e quanto hanno sofferto Paola e Giulia. Ciò che ho letto è già troppo da sopportare, per me che non le conoscevo. Figuriamoci per le loro famiglie.

Poi c’è un’ultima donna nella storia di Giulia a cui penso e ripenso in queste ore. Forse un’altra potenziale vittima, 23 anni, italo inglese. Era l’altra fidanzata di Alessandro Impagnatiello che ha mentito ad entrambe, le ha manipolate, circuite, al punto da metterle incinta tutte e due.

La ventitreenne però lo scopre. Agisce. Cerca Giulia, si incontrano. Di Impagnatiello non si fida più. E quando Giulia scompare, chiama la sorella e poi di nuovo Impagnatiello. Consegna i suoi sospetti ai carabinieri. Ma per Giulia ormai è tardi. È morta, è nella vasca cosparsa di benzina. E quando Impagnatiello dopo averla accoltellata e tentato di bruciare sempre dal telefono di Giulia invia dei messaggi all’altra per depistare anche lei, la ragazza non gli crede. Se lo ritrova fuori dalla porta di casa. Vuole entrare, lei non gli apre. È salva. Se avesse aperto?

Ed è riflettendo su lei che sto cercando la mia opinione sulla frase scritta da Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice de La Stampa: “Dobbiamo insegnare alle ragazze come salvarsi finché quel lavoro profondo affinché un uomo impari che non può avere tutto non sia completato”.

Sì, io penso che capire come “salvarsi” sia importante tanto quanto scardinare il “modello socio-culturale patriarcale, in cui la donna occupa una posizione di subordinazione, divenendo soggetto discriminabile, violabile, uccidibile”.

Sono madre di un futuro uomo. Sento una grande responsabilità. Il mio compito va ben oltre quello di insegnargli che le donne vanno rispettate. Non tutto dipenderà da me. Dobbiamo rimuovere completamente la violenza dalla società, dalle relazioni, anche la violenza verbale va estirpata.

La procuratrice aggiunta di Milano, in conferenza stampa ha detto “donne, non andate mai all’ ultimo incontro“, non è una frase che giustifica né che sposta l’attenzione dal carnefice alla vittima.

Il carnefice è l’assassino, la vittima non ha alcuna colpa.

“Capire come salvarsi” non esclude tutto il resto: l’educazione sentimentale e sessuale nelle scuole, il riconoscimento e rispetto dei diritti e della parità di genere, il potenziamento dei centri antiviolenza, la cultura e il diritto all’assistenza psicologica per tutti, l’eliminazione di ogni forma di discriminazione, la demolizione del machismo e del potere maschilista. Il cammino è però ancora lungo. Nel frattempo imparare a salvarsi a riconoscere, sin da piccole, i campanelli d’allarme non mi scandalizza.

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