Medici, infermieri, ostetriche e dentisti sono gli specialisti del settore sanitario che continuano a diminuire, specialmente in alcuni paesi, provocando un incremento del tasso di decessi ospedalieri nei corrispondenti ambiti di competenza. A evidenziare questa allarmante correlazione uno studio, riportato sul British Medical Journal e condotto dagli scienziati della Peking University. Il gruppo di ricerca, guidato da Jue Liu, ha esaminato il numero di occupazioni in ambito sanitario e il tasso di decessi ospedalieri verificatisi in 172 paesi e territori. I vari set di dati considerati coprivano l’arco di tempo compreso tra il 1990 e il 2019. Le disuguaglianze in termini di forza lavoro, spiegano gli esperti, rappresentano un elemento di preoccupazione per la salute pubblica perché possono provocare un impatto sostanziale sul rischio di morte dei pazienti.

Stando a quanto emerge dall’indagine, negli ultimi 30 anni emerge una notevole diminuzione nelle discrepanze analizzate a livello globale, con la forza lavoro sanitaria totale incrementata da 56 a 142 elementi per 10mila abitanti. Tuttavia, i dati non sono affatto omogenei, ed evidenziano importanti disuguaglianze che variano in base alla nazione di riferimento e al settore di competenza. In Svezia, ad esempio, si contano circa 696,1 unità di personale per 10mila abitanti, mentre Etiopia e Guinea lo stesso indice raggiunge rispettivamente 13,9 e 15,1 lavoratori per 10mila abitanti. Un altro dato rilevante riguarda il fatto che alcuni settori sanitari sembrano soffrire maggiormente della carenza di personale. Medici, infermieri, ostetriche e dentisti sembrano infatti le professionalità più soggette a discrepanze e disuguaglianze numeriche rispetto al mondo della sanità.

Intuitivamente, aggiungono gli esperti, i paesi caratterizzati da un indice di sviluppo umano più elevato sembrano correlati a un rapporto più bilanciato tra operatori sanitari e abitanti, il che si traduce in tassi di mortalità inferiori. Negli ultimi tre decenni, il rischio di decessi per tutte le cause, in realtà, risulta diminuito da 995,5 a 743,8 per 100mila abitanti, ma anche in questo caso il parametro sembra piuttosto variabile in base alle condizioni specifiche considerate. Per la maggior parte delle 21 cause specifiche di morte analizzate, il numero di morti per 100 mila abitanti risulta generalmente meno elevato, ad eccezione dei decessi associati a disturbi neurologici e mentali, malattie della pelle e disturbi muscolari e ossei.

Allo stesso tempo, riportano gli studiosi, il rischio di morte per infezioni intestinali, malattie tropicali, malaria, diabete, malattie renali e disturbi della gravidanza o del parto sembrava aumentato da due a 5,5 volte più elevato nei paesi caratterizzati da densità di operatori più bassa. “Il nostro lavoro è di natura osservazionale – commentano gli scienziati – per cui non siamo stati in grado di stabilire una causa definitiva per la correlazione tra la densità di personale e il rischio di decessi. Tra i possibili fattori rilevanti ipotizziamo però che l’inadeguatezza dei fondi, i bassi livelli di istruzione, la mancanza di opportunità di lavoro e la violenza contro gli operatori sanitari possano svolgere un ruolo cruciale in queste dinamiche”.

Dato che la capacità di carico complessiva della popolazione variava significativamente a livello nazionale, aggiungono gli esperti, sembra ragionevole presumere che i paesi con una popolazione eccessivamente numerosa potrebbero avere economie, assistenza sanitaria, istruzione e altri settori al collasso. “Molti paesi in via di sviluppo – si legge nel documento scientifico – sperimentano vulnerabilità strutturali e perdita di risorse umane impiegate nel settore sanitario. È incoraggiante però notare che il divario nella forza lavoro si è comunque ridotto dall’inizio del secolo”.

“Questo trend positivo – concludono gli autori – potrebbe derivare dall’effettiva attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e delle azioni di intervento orientate all’equità. I nostri risultati evidenziano pertanto l’importanza di investire nella sanità e sviluppare nuove politiche orientate alla riduzione delle disuguaglianze e dell’inadeguatezza delle risorse impiegate in ambito sanitario”.

Valentina Di Paola

Lo studio

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