Dal giorno esatto in cui ho finito di studiare e ho iniziato a lavorare, sono sempre stato affascinato da quante persone si dimostrassero inadatte a ricoprire il loro ruolo e di come, nonostante la propria inettitudine, queste continuassero a ricoprirlo. Pensavo fosse una sensazione solamente mia, finché, non ricordo come, né quando, incappai nel cosiddetto Principio di Peter, la tesi sostenuta da uno psicologo canadese (Laurence J. Peter, appunto) secondo la quale, “in una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza”.

Il motivo di fondo è che quando uno è bravo, questo viene promosso continuamente fino a quando non raggiunge il punto oltre quale non può più essere promosso perché non è abbastanza bravo per un’ulteriore promozione. Alla luce di questo, è facile comprendere perché alcune cose non funzionino: perché a farle funzionare sono demandate persone che non hanno la minima idea di quello che stanno facendo.

Da circa dieci anni mi occupo di politiche della mobilità: seguo quello che avviene in giro per il mondo e lo confronto con quanto avviene nel nostro paese e nella nostra città. Raramente, tuttavia, mi capita di provare stupore.

La gestione del Comune di Milano merita, però, una menzione speciale: ho seguito con interesse la decisione del Sindaco Beppe Sala di nominare Arianna Censi all’assessorato alla Mobilità. Perché generalmente al secondo mandato i sindaci osano un po’ di più del solito e ho atteso con fiducia politiche che mettessero in fila le politiche post Covid, le richieste dei gruppi ambientalisti e le esigenze di una città divorata dal traffico e dall’inquinamento atmosferico.

Per capire da che parte soffiasse il vento, qualche mese dopo le elezioni ho organizzato un momento di confronto tra le associazioni milanesi e l’assessora Censi per capire cosa potessimo aspettarci. Nel suo intervento la Censi non disse assolutamente niente. Non contento, decisi di invitarla nuovamente a parlare al Mobilitars, l’evento che ogni anno organizziamo dedicato al tema della mobilità urbana. Neppure in quell’occasione la Censi non disse nulla.

Così come non ha detto nulla quando è morta Veronica, schiacciata da un camion in Viale Brianza. E non ha detto nulla quando un camion in Porta Vittoria ha schiacciato e ucciso Cristina. E oggi che è stata la volta di un’altra persona in via Comasina e mi chiedo che altro ci sia da dire.

Perché l’unica volta che la Censi ha parlato è per rimproverare i cittadini che, esasperati dal suo immobilismo, hanno deciso di disegnare una riga a terra sul ponte della Ghisolfa per cercare un minimo di sicurezza. Immobilismo è d’altronde una parola che poco si sposa con una persona che dovrebbe occuparsi della mobilità della città più dinamica del paese ma che, davvero, in due anni dall’insediamento non si capisce ancora cosa abbia fatto, visto che la città è sempre più trafficata, ingestita, inefficiente e pericolosa.

In 100 giorni Milano è riuscita a collezionare sette morti tra pedoni, persone in monopattino e in bicicletta per strada, un record che porta la capitale morale del paese ai livelli probabilmente di Caracas.

Credo sinceramente che la misura sia colma e che non servano ulteriori motivi per chiedere le immediate dimissioni di questa persona che non solo non ha visione, né competenza, ma probabilmente neppure voglia e tempo di occuparsi della mobilità in città.

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