Prendi il gas e scappa. Negli ultimi due anni Eni SpA avrebbe guadagnato 550 milioni di dollari annullando e poi rivendendo il gas naturale liquefatto promesso al Pakistan, aggravando così la carenza energetica del Paese asiatico. La major energetica italiana non avrebbe rispettato una serie di spedizioni programmate tra la fine del 2021 e l’inizio del 2023, come previsto da un contratto per la fornitura di un carico di GNL al mese stipulato nel 2017. Per dirottarlo però altrove, approfittando dell’aumento dei prezzi energetici sui mercati, così da realizzare il massimo profitto da ogni carico.

E’ quanto sostiene un’inchiesta realizzata dall’organizzazione investigativa senza scopo di lucro Sourcematerial e dal gruppo ambientalista italiano Recommon. Nel loro rapporto congiunto le associazioni sostengono che durante quel periodo le navi GNL del Cane a sei zampe hanno evitato il Pakistan per dirigersi in Turchia: delle 12 spedizioni previste fino a febbraio 2023, almeno quattro sarebbero saltate. Eni ha negato di aver tratto vantaggio dalla situazione, dichiarando che tutti i carichi non consegnati in Pakistan erano “al di fuori del suo ragionevole controllo”. La società ha dichiarato: “Solo dove non erano disponibili soluzioni commerciali reciprocamente accettabili, sono state applicate le disposizioni contrattuali per la mancata consegna”.

Tuttavia, le cancellazioni sono giunte in un momento in cui i mercati globali del gas si stavano irrigidendo, i prezzi andavano alle stelle e l’invasione russa dell’Ucraina aveva innescato una corsa al GNL che ha lasciato carenze per gli acquirenti che non potevano più permettersi il carburante. I contratti del Pakistan, legati alle tariffe petrolifere, erano a una frazione dei prezzi spot del GNL durante il picco della crisi energetica dello scorso anno e includevano una penale relativamente modesta del 30% per l’annullamento, rendendo redditizio per i fornitori interrompere legalmente le spedizioni.

E da dove finivano? ReCommon e Source Material hanno tracciato i terminal più rilevanti, i database commerciali sulle esportazioni e le rotte delle navi gasiere. Dalle informazioni raccolte emerge che, nel corso del 2021, Eni abbia rifornito il Pakistan attraverso il terminal di Damietta, in Egitto, gestito dallo stesso Cane a sei zampe. In autunno, però, quando i listini del gas raggiungono vette mai viste prima, i flussi verso il Pakistan si interrompono bruscamente e ha inizio la lunga serie di cancellazioni da parte della società italiana.

Allo stesso tempo, si registra un aumento notevole dei volumi di GNL egiziano venduto sui mercati, in particolare verso la Turchia, che emerge come il principale destinatario dei carichi dal terminal di Damietta. È noto che, in quei mesi, la compagnia turca Botas avesse acquistato GNL sul mercato a un prezzo esorbitante, pari a oltre il triplo di quello pakistano. Dall’autunno del 2021 ad oggi, Botas avrebbe ricevuto ben 15 carichi di gas egiziano da parte di ENI, tutti provenienti dal terminal di Damietta. Nello stesso arco di tempo, la società italiana notificherà al Pakistan la cancellazione di 8 delle consegne previste. Ed effettuerà una sola consegna.

“Le aziende di combustibili fossili come Eni vogliono farci credere che stanno contribuendo alla sicurezza energetica”, ha affermato Alessandro Runci, attivista di Recommon. “Questa indagine mostra come il loro unico obiettivo sia assicurarsi i propri profitti ad ogni costo”. Va anche detto che Eni non è stata l’unica società a cancellare le spedizioni al Pakistan. Ma è altrettanto indubbio che l’impennata dei prezzi abbia portato a profitti record per i produttori di GNL, inclusa Eni, che ha guadagnato 2,1 miliardi di euro (2,3 miliardi di dollari) al lordo di interessi e tasse nel 2021-2022.

In ogni caso, evidenzia l’inchiesta, le conseguenze sono state gravi per il Pakistan, che ha dovuto fronteggiare blackout diffusi poiché l’importatore di proprietà statale non è stato in grado di trovare forniture alternative. Inoltre, Il calo delle consegne di GNL al Pakistan avrebbe poi come conseguenza un aumento della dipendenza del Paese dal carbone, con relativo aumento di emissioni.

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