Cronaca

25 aprile, la storia della contessa e del suo amante nazista: così Silvia Ceirano salvò due partigiani dalle fucilazioni dei fascisti

L’Italia implose, e le persone si divisero, si schierarono. Furono obbligate a scegliere da che parte stare, a scegliere tra fascismo e antifascismo. Alla fine è successo anche a chi, per sua natura, per interessi, o per la posizione privilegiata di cui poteva godere, mai e poi mai avrebbe pensato di scegliere l’una o l’altra parte. È successo a Silvia Ceirano, figlia di industriali (coloro che diedero origine all’avventura automobilistica in Italia) e contessa “acquisita”, che nella sua lussuosa villa di Alassio, per anni, si è preoccupata soltanto di organizzare feste e ricevimenti, anche durante la Seconda guerra mondiale. Anche, va da sé, invitando tra le sue mura nazisti e fascisti.

LA STORIA D’AMORE CON L’UFFICIALE NAZISTA – La storia della più grande dei tre fratelli Ceirano, che si lega alla Resistenza ligure e ai delitti di tedeschi e repubblichini, responsabili di rastrellamenti e torture tra la provincia di Savona e quella di Imperia, è finita nel romanzo storico del giornalista Daniele La Corte, intitolato Il boia e la contessa (Fusta Editore, 239 pagine, 19 euro). Chi sia la contessa, si è capito. Mentre la parte del boia va chiarita: come detto Silvia Ceirano sposa, a 18 anni, Eugenio di Carignano, un signore di 30 anni più grande di lei, che resta a Torino per fare il capo della polizia di Casa Savoia. Lei, invece, vive nella villa di Alassio. Finché la sua vita, fino a quel momento protetta da una bolla, nonostante la guerra, non si incrocia con quella di Gerhard Dosse, capitano tedesco di stanza ad Albenga dall’8 settembre del ’44. Dosse si presenta a Villa Ceirano, coi suoi uomini, per requisirla. Lei, sdegnata, si oppone (forte, tra le altre cose, dei contatti altolocati su cui può contare). Il tedesco vi fa ritorno il giorno dopo con un mazzo di fiori e tra i due nasce una relazione. Dosse, in pratica, diventa l’amante di Silvia Ceirano.

IL FASCISTA CHE SOGNA DI ENTRARE NELLE SS – Ma oltre a Dosse (che verrà condannato all’ergastolo, ormai 97enne, dal Tribunale militare di Torino in quanto criminale di guerra), c’è un altro boia, che almeno ufficialmente è alle dipendenze del capitano tedesco. È Luciano Luberti, passato alla storia con il soprannome, appunto, di “boia d’Albenga”. Romano, ex militare del regio esercito, dopo l’armistizio iniziò a collaborare con le SS. Luberti era talmente fascista che entrò a far parte nella milizia degli invasori, col grado di caporale, e lavorando come traduttore della Feldgendarmerie locale, dove faceva da torturatore ed esecutore di fucilazioni. Luberti, a un certo punto, tentò di convincere Dosse di dare alle fiamme Alassio, per via della presenza di presunte spie partigiane. È in quel momento che, per la prima volta, la contessa Ceirano interviene, minacciando il capitano tedesco di troncare la loro relazione qualora la cittadina fosse stata attaccata. Ed è a quel punto che Luberti – siamo nel dicembre del ’44 – rivolge i suoi istinti sanguinari verso Albenga: fu l’artefice, insieme a Dosse e al maresciallo Friedrich Strupp dell’uccisione di 59 persone, tra partigiani e civili, passati alla storia come “i martiri della foce”. Le esecuzioni, infatti, avvenivano alla foce del fiume Centa.

PARTIGIANI E RASTRELLAMENTI – Ma Silvia Ceirano, interessata fino a quel momento alla vita mondana, scopre cosa accade alla Feldgendarmerie (chiamata anche “la casa delle torture”) quando la sorella, Ida, le chiede di intervenire per salvare l’insegnante partigiano Giuseppe Fulcheri (che diventerà il braccio destro di Giovanni Agnelli), arrestato da tedeschi e fascisti in aula, a Mondovì. In un primo momento la contessa ne parla col suo amante, Dosse, ma siccome questi non la vuole aiutare, si rivolge a un generale nazista: Fulcheri viene caricato su un furgoncino, diretto a Garessio, e poi viene liberato. La sorella Ida, che nel frattempo nascondeva i partigiani nella sua villa, è costretta a chiedere nuovamente aiuto a Silvia quando viene arrestato anche il figlio, Remo, che stava seguendo le orme di Fulcheri, suo professore. Remo viene catturato e condannato a morte ma anche in questo caso, grazie all’intercessione della zia, viene liberato.

Nel romanzo storico di La Corte vengono ricordate vicende che, se non fissate, nero su bianco, rischierebbero di scomparire. Come quella della contessa Silvia Ceirano e del capitano Gerhard Dosse, o come le nefandezze, gli stupri e gli assassinii compiuti da Luberti e dai suoi uomini. E sullo sfondo, in una terra che ha versato il sangue per resistere al nazifascismo, restano i rastrellamenti, come quello della valle Arroscia, il 20 gennaio del ’45, o quello di Villanova d’Albenga, seguito alla battaglia di Montegrande, quando una trentina di partigiani, al comando di Silvio Bonfante, detto il Cion, respinsero centinaia di tedeschi che venivano dal Piemonte.

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