L’obiettivo dichiarato del governo, e ribadito anche da Giorgia Meloni ad Addis Abeba, resta quello di “eliminarla”. Ma per il momento la maggioranza, con un accordo che sarà martedì alla prova dell’Aula del Senato, impone una nuova stretta alla protezione speciale che già ha subito una secca sforbiciata con il cosiddetto decreto Cutro. “Una vergogna”, insorge il Pd. In chiusura della sua missione in Etiopia la premier ha insistito per sottolineare che tra i partiti che sostengono il suo governo “non ci sono divergenze” sulla questione. Anzi.
Con Matteo Salvini, ha detto la premier, non c’è stato un confronto “recente” sulla questione della protezione speciale, che pure ha tenuto appesi i lavori della commissione al Senato per diversi giorni. Ma ai suoi parlamentari non è piaciuta la corsa della Lega a rivendicare il ritorno ai “decreti Salvini”, e più di qualcuno teme che ci possa essere qualche ulteriore incursione che può fare traballare l’intesa. Anche perché i 21 emendamenti leghisti al decreto non sono ancora stati ritirati. Per contro nella Lega si vuole valutare l’andamento dei lavori in commissione. Le opposizioni annunciano le barricate per un provvedimento che la segretaria del Pd Elly Schlein definisce una “vergogna”.

Se così sarà, la partita vera con ogni probabilità si giocherà in Aula dove dovrebbe essere ripresentato solo l’emendamento che recepisce l’intesa. Che stringe sulla protezione speciale senza cancellarla, anche se toglie la possibilità di trasformarlo in permesso di lavoro. Lo stesso vale per i permessi di soggiorno per calamità e cure mediche, che sono anche ridimensionati. E aggiunge, però, un nuovo caso di protezione, per evitare i rientri in patria per i matrimoni combinati e i fenomeni delle “spose-bambine”. Una scelta “di buon senso”, rivendicano dalle file di Fdi, che sostiene l’alleato leghista nella scelta di limitare il ricorso alla protezione speciale, diventata nel tempo di fatto la principale via per ottenere un permesso (circa 10mila lo scorso anno, contro i circa 6mila rifugiati e gli altrettanti che hanno ottenuto la protezione sussidiaria).

Una cancellazione, insomma, che potrebbe arrivare per gradi, anche per evitare di entrare in rotta di collisione con il Quirinale, particolarmente attento agli interventi sulla gestione dell’immigrazione. Mattarella ha seguito con attenzione il laborioso iter del provvedimento e la portata delle restrizioni annunciate. Pare improbabile però un intervento diretto del presidente. Anche perché per farlo sarebbero necessari profili di incostituzionalità netta e non ci sono Trattati internazionali che impongano l’istituto della protezione speciale. Gli uffici del Colle analizzeranno quindi con grande attenzione il testo finale, anche alla luce dei “consigli” che il presidente Mattarella ha già dato al governo nei giorni scorsi. Ma pare difficile che il capo dello Stato si faccia trascinare sul terreno in uno scontro istituzionale.

Prossimo step è il voto della commissione Affari costituzionali dove lunedì alle 12 riprenderà l’esame del decreto. Ma visto l’ostruzionismo annunciato dalle opposizioni, e le centinaia di sub-emendamenti presentati, è molto probabile che il provvedimento passerà in Aula senza il mandato al relatore. La discussione nell’emiciclo dovrebbe cominciare martedì.

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