Il particolato fine o Pm2,5, l’insieme delle sostanze inquinanti solide o liquide sospese in aria, potrebbe influenzare l’accumulo di mutazioni genetiche legate al tumore al polmone e favorire la progressione del cancro. Ad avvalorare questa ipotesi un nuovo studio, descritto sulla rivista Nature e condotto dagli scienziati del Francis Crick Institute di Londra. Il gruppo di ricerca, guidato da Charles Swanton, ha utilizzato i dati raccolti dalla Biobanca britannica per valutare il nesso tra l’esposizione a livelli elevati di inquinamento atmosferico e il rischio di sviluppare il cancro al polmone, che può insorgere dalle cellule di bronchi, bronchioli e alveoli formando una massa in grado di ostruire il flusso dell’aria, oppure provocando emorragie interne polmonari o bronchiali. Questa neoplasia è inoltre associata a un rischio elevato di metastasi.

Secondo le stime dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum), nel 2020 sono stati diagnosticati 40.800 nuovi casi di tumore del polmone a livello nazionale, con una netta prevalenza tra gli uomini rispetto alle donne. Negli ultimi anni sembra però emergere una moderata diminuzione della disparità tra i generi, probabilmente a causa del diverso cambiamento nell’abitudine del fumo nella popolazione maschile e femminile. In base ai dati oggi disponibili, si legge sul sito dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), un uomo su 10 e una donna su 35 corrono il rischio di sviluppare tumore al polmone, che nel nostro Paese è responsabile di circa 34mila nuovi morti ogni anno.

Per approfondire il livello di conoscenza di questa neoplasia aggressiva, i ricercatori hanno esaminato le informazioni relative a 407.509 individui, 32.957 dei quali avevano ricevuto una diagnosi di cancro al polmone nel corso della propria vita. Il team ha utilizzato dati raccolti in Inghilterra, Taiwan, Corea del Sud e Canada. Il particolato fine, spiegano gli autori, può raggiungere le profondità del polmone e depositarsi all’interno degli alveoli o dei bronchi, influenzando il rischio di mutazioni di geni specifici. Ricerche precedenti hanno dimostrato che alcuni fattori ambientali possono favorire il rischio di cancro al polmone. In questo lavoro, gli scienziati hanno dimostrato che il PM2,5 può provocare alterazioni nei geni Egfr o Kras, comunemente associati al carcinoma polmonare non a piccole cellule.

I risultati preliminari sono stati poi convalidati in una coorte di 228 persone provenienti dal Canada. In questo database gli scienziati hanno individuato una correlazione tra un’esposizione della durata di tre anni all’inquinamento da particolato fine e una maggiore incidenza di cancro al polmone. Considerando, però, un arco di tempo di vent’anni, l’associazione non sembrava altrettanto evidente. Questa discrepanza suggerisce quindi che un periodo di esposizione di tre anni è sufficiente a influenzare la probabilità di sviluppare il carcinoma.

Il gruppo di ricerca ha infine utilizzato esperimenti sui topi per analizzare i meccanismi cellulari alla base della progressione del carcinoma legata ai cambiamenti atmosferici. Ciò ha permesso di stabilire che il particolato sembra in grado di innescare un afflusso di cellule immunitarie e il rilascio di interleuchina-1β, una molecola di segnalazione pro-infiammatoria, nelle cellule del polmone. Questo processo può esacerbare l’infiammazione cellulare e promuovere la replicazione delle cellule cancerose, guidando la progressione del tumore. Stando a quanto emerso dall’indagine, inoltre, il team scientifico sostiene che le cellule alveolari di tipo II (AT2) potrebbero svolgere un ruolo chiave nello sviluppo della neoplasia.

Nel complesso, scrivono gli autori, il lavoro indica che il particolato fine potrebbe rappresentare un possibile promotore del tumore del polmone, esacerbando le alterazioni e le mutazioni genetiche correlate al rischio di carcinoma. Comprendere i meccanismi alla base di questi processi, in effetti, è fondamentale per la progettazione di nuove strategie di prevenzione del cancro. In quest’ottica, concludono gli scienziati, è necessario iniziare a considerare la qualità dell’aria come un parametro necessario per garantire la salute pubblica.

di Valentina Di Paola

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