Il 2 aprile è la Giornata mondiale di consapevolezza dell’autismo. L’autismo è una condizione che interessa un numero sempre maggiore di persone nel mondo e l’Italia non fa eccezione. L’Istituto Superiore di Sanità riporta sul proprio sito un dato del 2019: 1 bambino su 77 nati ha una diagnosi di disturbo dello spettro autistico nella fascia d’età 7-9 anni. In Italia la situazione per le persone autistiche e le loro famiglie non è facile, anzi. Le persone autistiche aumentano ma non c’è una presa in carico idonea ai bisogni e necessità. “Tempi di attesa lunghi per le prime diagnosi, mancanza di diagnosi inter e multidisciplinari che indaghino la complessità biologica, interventi psicoeducativi in centri pubblici spesso inadeguati o insufficienti a fronte delle esigenze differenziate e delle numerose richieste, adolescenti quasi ovunque privi di riferimenti importanti e transizione all’età adulta molto complessa”. A denunciare le principali criticità a ilfattoquotidiano.it è Cristiana Mazzoni, presidente fondatrice di FIDA – Coordinamento Italiano Diritto Autismo Aps. In questi giorni l’Autism Community in Action ha reso noto che il Center for Disease Control and Prevention (CDC) degli Usa riferisce che la prevalenza dell’autismo è aumentata significativamente: 1 su 36 bambini statunitensi nati ha ricevuto una diagnosi di autismo. Nel 2023 questo numero di nuovi nati con diagnosi di autismo è aumentato del 22% rispetto al 2021 e del 317% da quando il CDC ha iniziato il monitoraggio circa 16 anni fa. “La cifra di prevalenza del CDC sta mostrando un vero aumento di coloro a cui viene diagnosticato l’autismo. Non siamo più bravi a diagnosticare e non vi è alcun ampliamento dei criteri diagnostici. Abbiamo più autismo. Con la realtà di questo aumento, spero che più persone si preoccuperanno. Poiché il numero di casi continua ad aumentare a un ritmo allarmante, il risultato è che sempre più famiglie e i loro bambini hanno bisogno di servizi e supporto fondamentali per la loro qualità di vita”, ha dichiarato Lisa Ackerman, fondatrice e direttrice esecutiva di TACA.

“Nulla su di noi, senza di noi”. Il commento delle persone autistiche – In occasione del 2 aprile ilfattoquotidiano.it ha contattato due persone con autismo per conoscere direttamente da loro quali sono le principali criticità che affrontano. Emanuela Masia è nata in Sardegna con una malattia ereditaria del sangue, ha studiato come educatrice professionale, insegnante di Scienze Umane e sostegno. Ha lavorato a Firenze dove ha insegnato e parallelamente ha portato avanti la sua passione per la recitazione diplomandosi come attrice e artista del palcoscenico. Dopo essersi trasferita a Roma e aver scoperto di essere autistica ha iniziato a dedicarsi all’approfondimento e alla divulgazione di temi inerenti l’autismo, le malattie croniche e la disabilità. “Scoprire di essere autistica mi ha consentito di dare senso al comportamento degli altri più che al mio, il quale mi è sempre sembrato del tutto naturale”, dice Masia. “Credo valga la pena chiarire che sono nata con una disabilità fisica invisibile che nulla ha a che fare con l’autismo. Ho sempre attribuito a questa mia caratteristica la diffidenza dei colleghi nei miei confronti in tutti i luoghi in cui ho lavorato. In particolare quando insegnavo a scuola soffrivo del modo paternalistico in cui venivano trattati gli alunni con disabilità e non riuscivo ad allinearmi con l’atteggiamento generale”. E adesso? “Credo che se non fossi stata autistica mi sarei potuta guadagnare la loro simpatia e forse mi avrebbero ‘perdonato’ la disabilità. Perché credo sia questa la cosa peggiore: la sensazione che chiunque ritenga la disabilità un problema individuale e che sia compito di quella persona (e della sua famiglia) cercare di “superare”, abilitandosi e riabilitandosi per guadagnare un posto tra chi disabile non è”.

Masia evidenzia che “la disabilità e in particolare l’autismo sono una questione sociale, sarebbe utile iniziare a pensare a riabilitare i contesti e non sempre e solo le persona autistiche e/o disabili”. E cosa manca? “Serve un cambiamento culturale che consideri normale la variabilità delle espressioni neurobiologiche umane, in modo da superare il binarismo “abile/disabile” che porta chi ha il potere della maggioranza a decidere le modalità di inclusione delle minoranze”. Tiziana Naimo è una persona autistica e mamma di tre figli autistici. Ha 47 anni, palermitana, grafica e illustratrice. Fondatrice del Blog “Bradipi in Antartide” nel quale si racconta con fumetti, infografiche e video. E’ membro del direttivo di Neuropeculiar APS, fondata nel 2018 e gestita da persone autistiche, che divulga e promuove un differente approccio all’autismo e alle tematiche della neurodivergenza. “Per gran parte della mia vita non ho saputo di essere autistica, ho avuto la mia diagnosi 8 anni fa. Ho sempre cercato di dare un nome alle mie difficoltà che nel tempo mi hanno portata a sentirmi aliena in ogni contesto”, spiega Naimo. “Era come se tutti avessero un copione che gli spiegava cosa fare e come farlo, mentre io andavo avanti alla cieca. Questo mi ha portato nel tempo a sentirmi molto sola e, nonostante ciò, a ricercare la solitudine perché il rapporto con gli altri era difficile e doloroso. Non sapevo – aggiunge – dare un nome a questo e a molte reazioni che mi causavano luci, rumori, odori, sapori. Reazioni che mi hanno portato a sperimentare potenti attacchi di panico e depressione sin da piccolina”. Naimo da diversi anni racconta il suo vissuto di persona autistica e genitore di tre figli autistici. “Il mio racconto è stato un vero e proprio viaggio alla scoperta di me stessa, attraverso la decostruzione di tutto quello che non ero: una sequela di deficit”. C’è una riflessione particolare che vorresti fare? “Tantissime persone autistiche crescono nella convinzione di essere mancanti, da aggiustare, inumane. Perché tutto quello che le circonda rimanda loro questa immagine. Quello che mi preme sottolineare è l’importanza di crescere con una sana identità autistica. Questo potrà sembrare assurdo, il fatto che sembri assurdo, però, rivela quanta strada ci sia ancora da fare”.

Le criticità riscontrate dalle famiglie – Adelaide Da Cruz è mamma di Matheus, 11enne autistico, e abita con lui in provincia di Latina. “Nel nostro percorso i processi burocratici sono un groviglio annientante. E’ fondamentale avere dalla diagnosi un tempestivo supporto socio-sanitario e socioassistenziale. Grazie ad altre mamme “guerriere” condividiamo molte informazioni e ci aiutiamo a vicenda. Insieme affrontiamo le criticità dall’intervento terapeutico, scuola, servizi. Senza la “Rete” tra noi tutto sarebbe molto più difficile”. Andreina Giubbotti è vedova e mamma di Tommaso, 25enne autistico. Vivono a Roma. Tommaso ha una situazione familiare difficile: il papà è venuto a mancare tre anni fa, il fratello si è trasferito in un’altra città. Frequenta un centro diurno privato, finanziato esclusivamente da genitori, dove si reca 5 giorni alla settimana, lì i ragazzi svolgono attività di vario genere. Pratica anche attività sportiva presso un centro collegato agli Special Olympics. “Le principali criticità dell’età adulta emergono al termine del percorso scolastico, quando si profila la necessità di trovare strutture adeguate per impegnare la giornata, per l’inclusione e per dare la possibilità ai genitori di proseguire l’attività lavorativa”. Inclusione e supporti economici. “Facciamo fatica a trovare contesti vicino casa inclusivi, ottenere aiuti economici da parte dei municipi e c’è un’estrema disomogeneità di trattamenti tra i municipi della stessa città”, afferma Giubbotti. Ci sono anche aspetti virtuosi. Ad esempio segnala la mamma di Tommaso il Progetto Tobia, unità operativa all’interno dell’azienda ospedaliera San Camillo Forlanini, strutturato per la cura dei soggetti fragili e spesso non collaboranti. “Attraverso i professionisti di varie aree specialistiche oggi i nostri ragazzi sono seguiti e curati nel modo più competente possibile. Progetto fondato dal dottor Stefano Capparucci che ha costruito un modello di cura presentato di recente al Ministro della disabilità”. Serena Chirilli è una docente di scuola primaria, vive a Treviso, ha un figlio autistico adulto in comunità che si chiama Simone e ha 33 anni. “Nel 1996 siamo arrivati dal Salento a Treviso con la speranza di vivere meglio ma purtroppo per la disabilità ho scoperto a nostre spese che i disservizi erano e sono uguali in tutta Italia”, spiega Chirilli. “Dopo la fine della scuola dell’obbligo c’è il baratro e ci sentiamo abbandonati in assenza di strutture in grado di gestire mio figlio, vedo che la situazione negli anni sta peggiorando”. Chirilli vuole fare un appello rivolto a tutte le famiglie nella provincia di Treviso, “a mettersi in contatto con me, per unirci e cercare di creare qualcosa di buono”. Chi volesse può inviarle una mail all’indirizzo serena.chirilli@gmail.com. “Sono anni che esprimiamo con forza, sia io che altri genitori, la necessità di servizi adeguati, di una rete di persone altamente specializzate che supporti gli adulti, troppo spesso abbandonati insieme alle loro famiglie, a cominciare dai Pronto Soccorso quasi sempre non pronti a gestire l’ingresso di una persona autistica in maniera idonea”.

Presa in carico, servizi alla persona e autonomia – Mazzoni è mamma di due adolescenti autistici molto diversi tra di loro, uno ad elevato carico assistenziale e l’altro abbastanza autonomo. Si occupa dei ragazzi con il padre e per il carico assistenziale del figlio più complesso ha dovuto lasciare il lavoro. Insieme ad altri genitori ha co-fondato FIDA, che si occupa di diritti delle persone autistiche e delle loro famiglie declinati nei vari contesti sociali e di vita. “Le realtà virtuose esistono ma sono ancora poche e distribuite a macchia di leopardo sul territorio italiano. Molto ancora grava sulle spalle delle famiglie che rappresentano il vero welfare, colmando le lacune di un sistema socio sanitario che non riesce a dare risposte concrete e continuità. Gli interventi terapeutici con evidenza scientifica sono a carico delle famiglie, tranne casi isolati e rimborsi in alcune Regioni”. Una delle criticità è il sostegno scolastico. “La scuola non riesce a garantire quella piena inclusione prevista dalla Legge 104/92 per mancanza di docenti di sostegno formati ed in numero sufficiente alle esigenze”, dice al Fatto.it. Gli adolescenti autistici spesso lasciano la scuola finendo nel circuito assistenziale dei centri diurni. L’età adulta è una fase tra le più complesse. Chi potrebbe lavorare ha difficoltà a collocarsi, mentre chi viene considerato “inabile” finisce in centri diurni, rsd, comunità oppure entro le quattro mura domestiche con i genitori anziani. “La speranza – afferma Mazzoni – è che si dia impulso ai Progetti di Vita personalizzati sostenuti dal Budget di Salute e si converta un sistema puramente assistenziale in un sistema di prospettive sociali e dignità personale”. Cosa occorre potenziare? “La vita indipendente è possibile se si riesce a costruire nel tempo, supportando le famiglie nel percorso di crescita dei giovani autistici, se c’è un’alleanza tra scuola e famiglie, se si creano opportunità lavorative commisurate alle abilità di ciascuno, se si promuovono soluzioni abitative rispettose della volontà della persona”, sottolinea la presidente di FIDA. Sul fronte dell’assistenza? “Un ruolo fondamentale è rappresentato dagli educatori, il cui lavoro andrebbe implementato e reso ancora più professionale, declinato nelle varie fasi della vita, dall’infanzia fino alla vita indipendente per un Dopo di noi sereno e dignitoso. Importantissima – conclude – anche la funzione degli assistenti sociali che dovrebbero essere capaci di co-programmare e co-progettare i progetti di vita con la persona e la famiglia o chi ne fa le veci”.

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