Tre italiane, Napoli, Milan e Inter, fra le prime otto d’Europa, come non accadeva dal 2006, e almeno una che arriverà sicuramente in semifinale. Altre tre, Juventus, Roma e Fiorentina, fra Europa e Conference League, con discrete chance di arrivare in fondo. Sei rappresentanti in totale su tutte le competizioni, meglio anche della Premier (ferma a 4), più di qualsiasi altro campionato europeo. Un bottino (quasi) pieno che fa gridare al miracolo, già celebrato da tutti i media: la Serie A è tornata competitiva. Ma guardiamoci in faccia: il calcio italiano non è rinato, e tantomeno guarito. È solo un po’ più fortunato.

Delle tre qualificate ai quarti di Champions, solo il Napoli è davvero dove deve stare, per quanto esprime dentro e fuori dal campo. La squadra di Spalletti ha dominato l’Eintracht di Francoforte, vincitrice uscente dell’Europa League. Ha passeggiato all’andata in trasferta, sbrigato come una formalità la pratica del ritorno. Un piacere da vedere, un modello da imitare. In questo capolavoro che raccontiamo da inizio stagione c’è per forza anche una piccola componente di fortuna, in una di quelle stagioni magiche dove gira tutto bene. Ma oggi il Napoli, per qualità degli interpreti, del gioco e della gestione, è a tutti gli effetti una delle migliori otto d’Europa. Forse anche qualcosa in più, si vedrà.

Qui però finisce il miracolo italiano, che per le milanesi assume una connotazione diversa. La presenza di Milan e Inter ai quarti è, con le dovute differenze ma in maniera simile, abbastanza estemporanea. Entrambe baciate dalla buona sorte nell’urna, con la netta sensazione di aver passato il turno soprattutto per aver incontrato un’avversaria più scarsa (il Porto) o più in crisi (il Tottenham). I rossoneri sono pure sulla buona strada, con un progetto chiaro ma forse più indietro di quanto si potesse pensare l’anno scorso: sta incontrando fisiologiche difficoltà a salire di livello dopo lo scudetto (le stesse in cui, per intenderci, potrebbe incorrere il Napoli fra qualche mese), ed oggi è una squadra con poca qualità e nemmeno la determinazione di prima, forse la più debole delle 8 rimaste (almeno secondo i bookmakers). Quanto all’Inter, siamo lontani anni luce da ciò che dovrebbe essere un club di calcio negli Anni Duemilaventi: questo traguardo assomiglia più al canto del cigno dell’era Suning che a una rinascita. Per le altre in Europa e Conference, infine, c’è solo da rallegrarsi nel vedere finalmente le italiane non snobbare le coppe europei minori.

Insomma, oggi il bilancio sorride, e lo farà ancora di più fra un mese, quando avremo almeno un’italiana in semifinale, la possibilità concreta di alzare un’altra coppa minore, visto che la fortuna continua e ha regalato alle italiane i migliori incroci possibili. Ma l’errore più grande sarebbe farsi ingannare da questi risultati e pensare di aver risolto i nostri problemi. Siamo ancora il calcio degli stadi vecchi, dei bilanci quasi sempre fuori controllo, di modelli gestionali completamente anacronistici, idee di gioco spesso aride e ritmi stantii, una nazionale fuori per due volte di fila dai mondiali che non produce da un decennio uno straccio di talento. L’exploit nelle coppe, più che nostro, è merito della bellezza del calcio e della Champions League, dove nella partita secca con un po’ di fortuna e un buon sorteggio c’è una chance per tutti. Anche per la nostra povera Serie A.

Twitter: @lVendemiale

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