Matteo Renzi ha perso la causa contro Marco Travaglio in quanto l’avere esposto un rotolo di carta igienica col suo viso impresso non costituisce diffamazione. Così come è caduta nel vuoto la sua richiesta di 200mila euro al Corriere della Sera per un articolo dedicato al caso Open. In questi giorni, fonti del Viminale affidano all’agenzia AdnKronos una comunicazione che annuncia di “sottoporre all’Avvocatura dello Stato le gravissime false affermazioni diffuse da alcuni ospiti in occasione di una trasmissione” nella quale un soccorritore metteva in dubbio la ricostruzione del naufragio di Cutro fatta dal ministero dell’Interno.

Le tante denunce per diffamazione, che stanno cadendo nel vuoto, ricordano a tutti il sacrosanto diritto della stampa ad indagare, criticare, scandagliare le azioni della politica, anche attraverso l’uso del sarcasmo. La legge condanna l’offesa e il vituperio, ma protegge il polemos. Nella chiosa della sentenza Renzi vs Travaglio il giudice ha spiegato che la satira, come nel caso della carta igienica, è una forma di critica: la satira non offende, non mina la dignità del dominus che ne è destinatario; la satira contiene l’essenza del motto di spirito freudiano, vale a dire quella parola che veicola e libera il non detto facendo dell’ironia il proprio asse portante.

La politica non deve temere di essere irrisa da quel ghigno sardonico e sdrammatizzante che da sempre ne è un complemento necessario e vivificante. Partendo da questo caso, è possibile finalmente fare alcune considerazioni in merito ad uno strumento oggi molto diffuso: la cosiddetta ‘denuncia temeraria’. Con questo termine si intende una querela priva di presupposti solidi, lanciata come deterrente al proseguo della polemica. Vulgo: la querela è temeraria quando preventivamene censoria, quando la lex viene evocata a scopo intimidatorio o dissuasivo nei confronti di chi esercita il sacrosanto diritto alla critica, quand’anche questa prenda la forma dell’ironico sberleffo.

Si tratta di uno strumento utilizzato in ambiti diversi: dalle liti condominiali passando per le separazioni coniugali sino all’agone politico. Ma anche nelle recensioni dei locali è possibile leggere, in risposta alle critiche del cliente che non ha gradito pasta e fagioli, la dura risposta dell’albergatore “io la denuncerò”. A conclusione di un rapporto clinico che si rivelò per me fisicamente devastante e purtroppo invalidante nel tempo, la mia ennesima richiesta formale di avere chiarimenti su come uno strumento di sostegno si fosse rivelato per me un serio nocumento ottenne come ultima risposta una email con scritto: “Darò mandato ai miei avvocati di agire contro di lei se ancora continua a scrivermi”. Temeraria, appunto. E piena di paura. Ma utile a capire cosa avevo incontrato.

La psicoanalisi ci insegna che l’uso abnorme e spropositato della querela – o della minaccia della stessa (fenomeni come detto in crescita esponenziale) – rappresenta a volte uno strumento tombale per proteggersi da una realtà che non può essere sopportata, svelata. Ricorrere alla minaccia della legge sempre e comunque, chiamandosi fuori dalla dialettica costituisce il tentativo di far prevalere sulla legge della parola un codice chiuso, censorio, inadatto allo scambio con l’altro. Intimidire un avversario agitando la minaccia di adire a vie legali in caso di un proseguo del confronto (qualora non scivoli nell’offesa o nel turpiloquio ovviamente, ma questo è un altro discorso), è – ritengo – un’ammissione di non poter continuare quel dibattito con le armi della retorica, per incapacità o perché consapevoli di essere seduti su argomenti troppo deboli e pertanto non efficaci. In alternativa rappresenta l’ammissione implicita di un timore che si vada ad indagare su zone dalle quali si vuole distogliere l’attenzione.

Figlia minore della querela temeraria, e altrettanto diffusa specie in rete, è la “denuncia per procura”, messa in atto da singoli e solertissimi individui che minacciano carte bollate laddove avvertono offeso il buon nome del loro idolo, del loro politico preferito, del loro scrittore o attore prediletto, figure in nome e per conto delle quali si sentono di agire, a volte senza che costoro sappiano della loro esistenza. “Se continui a criticare il presidente di (squadra di calcio) ti faccio scrivere dai miei legali!”. “I tuoi commenti sull’esibizione di (cantante apparso a SanRemo) sono irrispettosi. Se lui non ti denuncia, lo farò io!”. Ho letto in un forum di Medicina: “lei non può dire queste cose sul dottor xy, che è il mio cardiologo. Se lui non la denuncia, lo farò io. Per adesso ho fatto lo ‘screenshot’”. Poi una persona passò in rassegna alcune mie frasi che riteneva offensive nei confronti di un suo beniamino e, via Facebook, mi scrisse che “qualora avessi continuato, sarebbe seguita ‘punizione legale’’’. Allora prevalse in me la pietas, nonché lo stimolo clinico ad indagare questo tema.

Per tornare al discorso sul potere, la politica con P maiuscola non deve temere di inoltrarsi nelle paludi della dialettica, nelle forche dello scambio salace e vigoroso. Tante vittime di soprusi patiti nel mondo del lavoro, in quello sanitario, nello sport, in ambito religioso e in quello dello spettacolo, hanno cessato di chiedere giustizia perché intimiditi dalle pesanti richieste economiche del denunciate, spesso assai più potente e facoltoso di loro.

Esiste un mondo ricco e pulsante di liberi pensatori, lontani dalle verità assolute, che vedono vanificati i loro tentativi di criticare pacificamente il pensiero di filosofi, scrittori, saggisti in quanto, dopo aver espresso sulle loro bacheche virtuali un pensiero ben argomentato ma divergente, vengono contattati dai legali dei suddetti. Quanti individui opachi, saccenti e sputasentenze utilizzano la censura preventiva, bannano e cancellano forsennatamente profili di lettori i quali, in modo educato e civile (elemento ovviamente indispensabile) osano criticare le loro tesi, le teorie esposte su profili facebook e twitter che assomigliano sempre più ad altari immacolati ove si celebra una verità assoluta ed intangibile.

E’ tempo che lo strumento della denuncia temeraria venga ridimensionato, e con esso la tronfia sicumera di chi, pavidamente ne fa uno strumento per irretire l’altro. E’ tempo che chi critica il potere, lo osteggia, lo ridicolizza o semplicemente lo avversa, possa continuare a farlo senza temere ritorsioni. E’ tempo che tanti intellettuali e politici, vittime delle loro paure, inizino ad usare quella ars dialettica della quale spesso si riempiono a sproposito la bocca.

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