“Ma fare tamponi a tutti adesso è la c***ata del secolo“. Così il 15 marzo 2020, in pieno lockdown, Ranieri Guerra, allora numero due dell’Oms commentava via WhatsApp con Silvio Berusaferro, presidente dell’Iss. Guerra aveva chiesto se fosse vera la decisione “di fare tamponi a tutti a tappeto“. Nella chat, agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione del Covid in Val Seriana, Brusaferro rispondeva a Guerra: “No, è che ognuno va per conto suo“. E il direttore vicario dell’Oms rassicurava: “Ho parlato con Galli, poi, e gli ho detto di desistere dal proporre scemenze come tamponi per tutti… ha convenuto, spero…”.

I dubbi dello stesso Brusaferro su un uso massiccio dei test emerge anche in una chat con Francesco Curcio, direttore del Dipartimento di medicina di Laboratorio di Udine, che risale al 22 febbraio 2020, il giorno dopo la scoperta del Paziente 1. In quel periodo la valutazione era non procedere con l’”uso massiccio dei tamponi”, anche se da Londra era stato comunicato che “oltre 2/3 dei portatori sani provenienti dalla Cina sono rimasi ‘undetected’ e hanno avuto il tempo di diffondere il virus”. Brusaferro, quel giorno, commentava la situazione: “Come puoi immaginare siamo in continuazione in comitato di crisi“. E Curcio: “Ho immaginato. Noi siamo preparati”. Brusaferro: “Il punto è l’adozione sistematica delle precauzioni standard, droplets area”. Il Direttore del Dipartimento di Udine proseguiva: “Qui il problema adesso è l’iperafflusso: in un paio di ore abbiamo già un centinaio di richieste di test. Rischiamo di saturare i sistemi di accoglienza e quelli di diagnosi”. Il presidente dell’Iss rispondeva: “Già il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa“.

“E poi così con questi numeri – osservava Curcio – adesso, senza una vera emergenza non oso pensare alle richieste che faranno quando avremo i primo casi. Facciamo presto a rimanere senza materiali“. Allora si era deciso di eseguire i tamponi ai soli casi di sindrome simil-influenzale e di sindrome da distress respiratorio acuto. Inoltre, annotano nella loro relazione gli investigatori, Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, “evidenziava l’inutilità di sottoporre a tampone le persone asintomatiche ed il Ministero faceva propria questa indicazione, benché il 25 febbraio 2020 i tecnici, tra cui lo stesso Brusaferro, avessero ricevuto una mail da Londra sul problema degli asintomatici“. Sempre il 25 febbraio il presidente dell’Iss in un messaggio aveva affermato che “la polemica su tutte le sindromi simil influenzali da tamponare sta scoppiando! Dobbiamo proporre rapidamente una soluzione“.

Secondo la relazione, la decisione allora di non procedere con tamponi a tappeto trova una possibile spiegazione anche nel fatto che “né il Ministero, né la task force istituita presso il Gabinetto, né il CTS, né tantomeno le Regioni, avevano previsto lo stoccaggio di tamponi e di reagenti, ma si erano limitati ad una semplice ricognizione dell’esistente. Nulla era stato fatto nemmeno riguardo l’ampliamento del numero di laboratori in grado di diagnosticare il Covid”, tant’è che nelle prime settimane dell’epidemia “i tamponi processati nei laboratori regionali dovevano poi essere trasmessi a Roma per la conferma da parte del laboratorio dell’Iss”. “Non si può non segnalare il ritardo del ministero della Salute nella gestione dell’emergenza. Solo il 4 marzo 2020, infatti, approntava una prima stima dei costi per l’acquisto di attrezzature ospedaliere, allorquando ormai in Lombardia vi erano già 1.820 casi, 73 deceduti e 209 persone in terapia intensiva”, è un’altra delle considerazioni contenute nella chiusura inchiesta dei magistrati di Bergamo. In una chat del 23 febbraio 2020 Giuseppe Ruocco, ex segretario generale del ministero della Salute, scriveva: “Qui si stanno demoralizzando tutti e il ministro ormai è nel pallone”.

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