Gli Hikikomori in Italia sarebbero oltre cinquantamila. Per la prima volta a dare una stima ufficiale dei ragazzi che per mesi si chiudono in casa a dormire o a guardare la televisione, a leggere o a giocare online, è uno studio nazionale svolto dal Gruppo Abele e dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa.

La ricerca ha coinvolto un campione di oltre dodicimila studenti rappresentativo della popolazione scolastica italiana fra i 15 e i 19 anni. I risultati fanno suonare il campanello d’allarme. Se fino a poco tempo fa il fenomeno Hikikomori era considerato marginale ora i cosiddetti “ritirati sociali”, ovvero giovani o giovanissimi che smettono di uscire di casa, di frequentare scuola e amici, per chiudersi nelle proprie stanze e limitare al minimo i rapporti con l’esterno, mantenendo i contatti prevalentemente attraverso Internet, sono circa 54mila: il 18,7% degli intervistati afferma di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non ha messo piede fuori dalla propria abitazione da uno a sei mesi e oltre.

In quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre sei mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). “Si tratta – spiega a ilfattoquotidiano.it Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr – di un problema che c’era prima del Covid tant’è che la ricerca è stata ideata a far tempo della pandemia ma abbiamo atteso a realizzarla per avere un dato più reale. È un fenomeno in crescita e siamo certi che riguardi anche una fascia di età che non abbiamo preso in considerazione ovvero quella dai 18 ai 25 anni”.

Ma chi sono gli Hikikomori? L’età che si rivela maggiormente a rischio per la scelta di ritiro è quella che va dai 15 ai 17 anni, con un’incubazione delle cause del comportamento di auto-reclusione già nel periodo della scuola media. Le differenze di genere si rivelano nella percezione del ritiro – i maschi sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, ma le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori – così come nell’utilizzo del tempo, le ragazze più propense al sonno, alla lettura e alla tv, mentre i maschi al gaming online.

“Ciò che colpisce – sottolinea Molinaro – è che si tratta di ragazzi che vanno piuttosto bene a scuola e che provengono da famiglie che non hanno problemi economici ma hanno un vissuto difficile con i pari e spesso hanno avuto prescrizione di psicofarmaci in passato”. E i genitori? La ricerca è andata ad indagare anche le reazioni di mamme e papà dando una fotografia che può sorprendere. I vissuti che emergono dalle dichiarazioni dei ragazzi quando descrivono le reazioni genitoriali al ritiro sociale avvenuto per un periodo significativo, evidenziano tre tipi di comportamenti: trascuratezza (19,2%), per cui quasi un quinto dei genitori sembrano, agli occhi dei figli, non essersi accorti dell’isolamento; incomprensione (26%), per cui, stando alla percezione dei figli, più di un quarto dei genitori paiono accettare il dato di fatto senza porsi domande; preoccupazione (14,8%), per cui meno di un settimo dei genitori si manifestano preoccupati, ricorrendo al medico e/o mettendosi in contatto con la scuola. Alcuni reagiscono punendo i figli per il loro comportamento (risposta fornita dal 6,1%).

“Sono ragazzi – specifica la ricercatrice – che non sentono l’affetto dei genitori. Le famiglie più a rischio sono quelle ricostituite dove c’è un certo caos”. Più reattiva la scuola che la stessa Molinaro trova sensibile tant’è che alcuni uffici scolastici regionali hanno consentito la possibilità di fruire di una certificazione, rilasciata dall’Azienda sanitaria locale di competenza, che attesta la “condizione di ritiro sociale” dello studente; in questo modo la singola scuola è autorizzata all’adozione di criteri più flessibili, in parziale deroga all’obbligo di frequenza, evitando che le mancate presenze pregiudichino la valutazione finale e la conseguente perdita dell’anno scolastico.

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