Storia di ordinaria sopraffazione al tempo del regime di Putin.

In Russia, lo scorso aprile, presso l’istituto numero 9 di Iefremov, nell’oblast di Tula, l’insegnante di arti plastiche chiede ai suoi allievi di scuola media di fare dei disegni per solidarietà nei confronti dei soldati mandati a combattere in Ucraina. Maria, una ragazzina di dodici anni, disegna una madre ucraina che protegge i suoi figli dai missili, poi tratteggia una bandiera gialla e blu, sotto aggiunge questa didascalia: “Gloria all’Ucraina”.

La direttrice della scuola la denuncia. La polizia irrompe subito dopo a scuola. La ragazzina approfitta del trambusto, riesce a svignarsela, fornendo un nome falso. A casa, Alexei Moskalev, il padre, la rassicura, le promette che risolverà la questione il giorno dopo. Invece il giorno dopo non c’è più la polizia, ma l’Fsb – l’erede del famigerato Kgb. I servizi di sicurezza. Vengono a prendere Maria e convocano il padre. Alla stazione di polizia, Alexei Moskalev sorbisce lunghi sermoni sull’educazione che dà a sua figlia. I suoi social network sono puntigliosamente analizzati, l’Fsb ha scoperto due pubblicazioni tendenziose: una caricatura di Vladimir Putin e un post sulla guerra, in cui si legge: “Esercito russo. Gli stupratori sono tra noi”. Alexei viene processato lo stesso giorno, condannato a 32.000 rubli di multa (400 euro) per “avere screditato l’esercito”.

Per quest’uomo, che vive dell’allevamento di uccelli da compagnia, la somma è già un brutto colpo. Però non c’è solo il danno economico. L’Fsb lo minaccia: se Alexei Moskalev non si pente e fa ammenda, Maria sarà mandata all’orfanotrofio (la madre ha lasciato il marito e la piccola quando aveva tre anni), poiché la legge lo prevede nel caso di figli senza genitori (se finiscono in prigione). Un classico bullismo da parte dei servizi di sicurezza e della polizia, spesso usato contro le madri ma, come in questo caso, anche contro i padri. Maria è traumatizzata, ha attacchi di ansia e panico, implora suo padre di non mandarla più a scuola. Trascorrono mesi tremendi.

Il 30 dicembre 2022, una decina di agenti dell’Fsb si fiondano a casa Moskalev. Sono le 6 e mezza del mattino. Bussano, nessuno risponde. Allora abbattono la porta e invadono l’appartamento. La perquisizione assomiglia più ad un saccheggio. Tutto viene messo sottosopra, computer e telefonini sequestrati, e con loro i risparmi. Il padre viene portato nella sede locale dei servizi di sicurezza. Gli rinfacciano d’aver trovato 3150 dollari. Gli chiedono: “Chi è il tuo capo?”. Lo accusano di voler denigrare le forze armate. Lo percuotono. Gli sbattono la testa contro il muro e il pavimento. Alla fine, il caso amministrativo aperto ad aprile per via del disegno di Maria diventa un caso penale: imputano ad Alexei dei post sui social network. Per gli stessi fatti di “discredito dell’esercito” (l’accusa di aprile), Alexei rischia la pena detentiva. Con, ancora una volta, la minaccia di mandare sua figlia all’orfanatrofio.

A gennaio Moskalev, 54 anni, non va in tribunale per rispondere alla convocazione dei giudici. Secondo il suo avvocato, è terrorizzato dal suo precedente arresto e perquisizione: ha preferito trasferirsi. La decisione di parlare con i giornalisti peggiora tuttavia le cose. “Gli organi di sicurezza non amano che ci si rivolga all’esterno. Ci sono tutte le possibilità che Alexei venga detenuto fino al suo processo”, dichiara Vladimir Bilienko, l’avvocato, al corrispondente di Le Monde che ha rivelato questa storia ignobile. Secondo Bilienko, una decina di famiglie di Iefremov e dintorni “che si rifiutano di restare indifferenti” si sono offerte per accogliere Maria ed evitarle l’orfanotrofio.

Il caso dei Moskalev non è isolato. Dall’inizio della guerra, otto minori sono stati oggetto di procedimenti penali per le loro posizioni contro la guerra. Il numero dei procedimenti amministrativi è assai più alto, ma i dettagli sui minori non sono noti. La maggior parte delle volte, la pressione delle autorità si limita a semplici “discussioni”, o minacce contro i genitori.

Molti di questi conflitti riguardano la partecipazione dei bambini a un nuovo corso, obbligatorio, intitolato “Discussioni sull’essenziale”, una sorta di lezione di educazione civica in cui la guerra in Ucraina e i “valori tradizionali” occupano un posto centrale. Le dimostrazioni di smontaggio delle armi sono anche sempre più spesso organizzate nelle scuole e negli asili, proprio come ai tempi dell’Unione Sovietica in cui i bambini a scuola dovevano imparare a montare e smontare una pistola e poi, più grandicelli, un kalashnikov: “In altri casi, i genitori sono stati convocati dalla polizia perché il loro bambino aveva osato porre domande inquietanti in classe, o si era rifiutato di scrivere lettere ai soldati o aveva gridato gloria all’Ucraina!“!

Nell’ottobre 2022, a Mosca, una bambina di 10 anni è stata portata via dalla polizia mentre si trovava nel parco giochi della scuola, e pure stavolta dopo la denuncia della diligente direttrice. Colpevole d’aver pubblicato un avatar pro-ucraino su WhatsApp e lanciato un sondaggio sul gruppo della sua classe: “Sei per la pace o perché Putin continui a uccidere le persone?”. Poiché Elena Joliker, sua madre, ha rifiutato qualsiasi intimidazione e ha deciso di parlare, la famiglia ha subito una perquisizione ed è stata messa sotto la sorveglianza dei servizi sociali. La madre, è scritto in un rapporto, “non adempie ai suoi obblighi per lo sviluppo psicologico, spirituale e morale di sua figlia”, e può quindi esserle portata via la bimba.

Sono solo un paio di casi che possiamo definire iconici, ma sufficienti a descrivere il clima di paura che si è sviluppato dall’inizio dell’invasione in Ucraina. Molti sono infatti i russi che raccomandano ai loro figli di tenere per sé le loro opinioni, e di non ripetere in giro ciò che ascoltano in casa, e questo atteggiamento è frutto di dolorose reminiscenze, quelle delle quotidiane precauzioni che si era costretti a prendere in epoca sovietica. Quando la dittatura sovietica imponeva la dittatura della rassegnazione e dell’estenuazione. Quando la libertà era oppressa e i suoi aneliti cancellati.

In questi mesi, purtroppo, ci sono stati in Russia decine di insegnanti e professori denunciati dai loro allievi, per aver parlato di pace e accennato ai crimini di guerra: li hanno licenziati e arrestati. Come quando si abbatteva sui dissidenti “l’articolo universale 58.10” (cito Varlam Salamov dai Racconti di Kolyma, 2010 B.C. Dalai edizioni, di cui ho scritto la prefazione) che puniva i crimini ‘controrivoluzionari’, ossia chi non la pensava come il regime voleva. Nell’estate del 2009, al Centro Sacharov di Mosca, ho visto una stupenda mostra dedicata al samizdat e alla cultura perseguitata dal regime sovietico. Il tam-tam clandestino contro l’oblìo era ancora – e lo sarà per sempre – il grido disperato della necessità di far conoscere, di non dimenticare, di denunciare “ciò che nessun uomo dovrebbe vedere né sapere”.

Appunto: mercoledì 1 marzo, Alexeï Moskalev è stato arrestato in tarda mattinata. Durante la sua detenzione provvisoria, la cui durata non è ancora stata fissata, Maria, ormai 13enne, dovrà restare nell’orfanotrofio di Iefremov: “E’ questo scenario ciò che temo di più”, aveva confidato qualche giorno fa all’organizzazione per i diritti umani OVD-Info e al sito di notizie Spektr, raccontando le sue disavventure.

Nei nostri cuori irrigiditi dal turbinio della mala informazione, queste piccole verità sono lo specchio della crudezza del dato storico che stiamo vivendo, e che non sappiamo domare.

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