“L’umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. Lo ha detto Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, scatenando una tempesta di critiche che lo hanno portato di fatto a rettificare il tiro. Si sarebbe trattato di un lapsus: gli è scappato “umiliazione”, ma voleva dire “umiltà”. Può capitare.

Ma ora si registra una specie di coazione a ripetere. A Firenze, appena fuori di una scuola, un ragazzo viene colpito duramente e crolla a terra; su questo corpo inerme si accaniscono due energumeni appartenenti – stando alle cronache – a un gruppo di estrema destra; le immagini, terribili, testimoniano violenti calci al ventre e alla schiena sferrati ripetutamente con feroce sadismo. Contro questa violenza di stampo squadrista una preside scrive una lettera di giusta condanna. I toni sono pacati ma il messaggio è chiaro e forte, là dove la preside ricorda ai suoi ragazzi che il fascismo è stato anche frutto della indifferenza verso simili “azioni” criminali.

Il ministro Valditara non la prende bene e reagisce con maschia energia. Contesta alla preside di aver fatto indebitamente “politica”. Come non bastasse, le lancia una fatwa in burocratese con le parole “se l’atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure”.

Anche questa volta l’uscita del ministro suscita una bufera di critiche e polemiche che lo inducono a precisare. Ma non parla più di lapsus. Ingaggia un serrato a corpo a corpo con la realtà. Perché alle accuse di aver minacciato sanzioni alla preside risponde che di ”sanzioni” non ha proprio parlato. Mentre al netto del burocratese “misure” è sinonimo di “sanzioni”.

Del resto una sanzione il ministro l’ha già inflitta alla preside. In sostanza le ha detto che se sbagliasse ancora lui dovrebbe necessariamente intervenire. Ora, l’art. 21 della Costituzione stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Dove le parole “diritto” e “liberamente” non lasciano spazi ad interpretazioni di tipo orwelliano o peggio. Per cui privare un cittadino di un suo diritto costituzionalmente garantito è appunto – di fatto – una sanzione. Comunque la si voglia definire.

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