Marjane Satrapi sa cosa significa crescere nell’Iran che impone il velo a tutte le donne, chiude le università e proibisce di tenere feste in casa. Aveva dieci anni quando nel 1979 gli sciiti presero il potere con la rivoluzione islamica, quattordici quando i genitori decisero di farla emigrare in Europa per permetterle di crescere libera. Ha raccontato la sua storia in Persepolis, il suo primo graphic novel pubblicato nel 2000 e letto in tutto il mondo, da cui è stato tratto anche un film d’animazione. Regista e intellettuale, oggi Marjane Satrapi vive in Francia. A Bologna ha ricevuto l’onorificenza del Sigillum Magnum da parte dell’Università nel giorno dell’inaugurazione del nuovo anno accademico. Nella sua lectio magistralis durante la cerimonia (dal titolo “Freedom of Mind”) ha parlato delle proteste in Iran, “la prima rivoluzione femminista sostenuta anche dagli uomini” – come ha ribadito a Ilfattoquotidiano.it -, destinata a vincere contro una “Repubblica Islamica che è morta”.

Marjane Satrapi, come si sente a ricevere questo riconoscimento dall’Università di Bologna?
È un grande onore. Non riesco ancora a crederci che l’ateneo abbia voluto conferirmi questo riconoscimento. Non penso comunque di meritarmelo, ma sono molto contenta di averlo ricevuto.

In Persepolis ha raccontato com’è stato crescere in Iran negli anni della rivoluzione del 1979 che ha destituito la monarchia per instaurare la Repubblica Islamica e la sharia. Oggi in Iran sono in corso nuove proteste. La storia si sta ripetendo?
No. Perché le persone che stanno facendo la rivoluzione ora non sono le stesse di chi l’ha fatta in passato. È una generazione nuova. I giovani che stanno lì sono più istruiti. Hanno imparato cos’è il patriarcato. E – come ho detto anche nel mio discorso durante la cerimonia – sono cresciuti senza il trauma della guerra e dell’esilio che invece abbiamo avuto noi. E con Internet. Io ero la prima a criticarli, ma i social media ha dato loro la possibilità di crescere a contatto con il resto del mondo. E hanno raggiunto quella che io chiamo la “cultura della democrazia”.

Mi spieghi meglio.
La democrazia non è una cosa che capita di punto in bianco ma è un processo. E loro stanno attraversando questo processo con coraggio. Sono finalmente pronti ad abbracciare la democrazia. Questa volta il cambiamento ci sarà per davvero. Non so dirti con precisione cosa c’è nel futuro dell’Iran perché non ho nessuna sfera di cristallo in cui guardare cosa succederà. Ma di una cosa sono sicura: la Repubblica Islamica è morta. Il suo muro della paura si è rotto. E una volta che le persone non hanno più paura non tornano indietro.

Agli occhi di molti Persepolis l’ha resa il simbolo di tutte le ragazze e le donne che si oppongono al regime islamico.
Io invece non mi vedo come un simbolo. Anzi, credo che sia arrivato il momento che la nostra società impari a mettere al centro dell’attenzione l’essere umano in sé, perché oggi si può più pensare che certe cose riguardino solo gli uomini, o le donne, o le persone trans. Il mondo è unico e le cose che succedono ci riguardano tutti indistintamente.

Durante il suo discorso ha sottolineato come molti uomini stanno supportando una protesta scoppiata con l’uccisione di una ragazza, Mahsa Amini, pre rivendicare libertà e i diritti per le donne.
Esatto, questa è la prima rivoluzione femminista portata avanti anche dagli uomini. È una questione di cultura e intelligenza. Il mondo non è diviso tra uomini e donne, così come non lo è tra Occidente e Oriente, o tra cristiani e islamici. In Occidente vedo spesso uomini e donne in contrasto tra di loro in questioni che si riducono a “gli uomini sono cattivi e le donne sono buone”. In Iran le proteste sono iniziate con le donne e gli uomini le hanno seguite perché il genere non conta niente: semplicemente ci sono persone che credono nella libertà e nell’uguaglianza e persone che invece non ci credono. E questo non dipende né dal proprio genere di appartenenza né dalla nazione in cui si vive.

Durante la cerimonia ha detto che va bene tagliarsi i capelli come segno di solidarietà verso chi protesta, ma vanno tagliati anche i fili con il regime iraniano. Cosa dovremmo fare quindi noi che osserviamo da lontano quello che sta accadendo in Iran?
Parlarne. Perché la politica cambia grazie all’impatto dell’opinione pubblica. Ai politici importa solamente essere rieletti, e per riuscirci assecondano l’opinione pubblica. Le parole possono sembrare solo parole, ma alla base di ogni azione ci sono proprio le parole.

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