Pochi giorni fa lo Zimbabwe ha deciso di proibire le esportazioni di litio in forma grezza. Il minerale è indispensabile per la costruzione di batterie elettriche, sia per auto che per computer o telefoni, e negli ultimi due anni il suo valore è cresciuto di oltre 10 volte. Secondo il paese africano però il fatto che il litio venga semplicemente estratto nelle sue miniere e poi lavorato altrove comporta una perdita consistente per le casse pubbliche, sinora almeno 1,7 miliardi di euro su un’ economia che vale complessivamente 28 miliardi. “Se continuiamo a esportare litio grezzo non andremo da nessuna parte. Vogliamo vedere lo sviluppo delle batterie al litio nel paese”, ha affermato il viceministro delle miniere Polite Kambamura. Lo Zimbabwe, dove vivono 16 milioni di persone, ha un Pil pro capite di 1.700 dollari, nella parte più bassa della classifica globale.

Lo Zimbabwe ha le riserve di litio più grandi di tutta l’Africa e, secondo il governo, la capacità di soddisfare un quinto della domanda globale. L’ambizione del paese è quella di localizzare all’interno dei suoi confini un’industria per la produzione di batterie e non consentire più alle multinazionali estere di dominare il processo. Una svolta che se coronata dal successo, segnerebbe un precedente importante per tutti i paesi ricchi di materie prime divenute essenziali ma poveri di filiere industriali proprie. Negli scorsi anni diverse miniere locali sono state acquisite da gruppi cinesi come Zhejiang Huayou Cobalt, Sinomine Resource Group e Chengxin Lithium. Il fatto che queste società stiano investendo anche su impianti di lavorazione del minerale in loco le lascerebbe però immuni dal bando. Le società minerarie che stanno costruendo impianti di trasformazione saranno escluse dalla direttiva sullo stop all’export, ha infatti precisato Kambamura. Lo scorso luglio il paese aveva vietato l’esportazione di granito grezzo.

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