Il governatore veneto Luca Zaia giura che con i suoi collaboratori parla in dialetto, non in italiano, come emergerebbe invece dalle intercettazioni sui tamponi anti-Covid diffuse dalla trasmissione “Report”. Quindi, qualche sfumatura potrebbe essere stata fraintesa. Ne rovescia il senso, cercando di allontanare i sospetti di una prepotenza istituzionale nella lunga guerra con il professore Andrea Crisanti, microbiologo e senatore del Pd, che alla fine dell’anno si è dimesso dall’Università di Padova, dicendo di sentirsi perseguitato da un “regime intimidatorio” per le critiche che ha rivolto alla Regione Veneto nella gestione della pandemia.

Zaia rivendica di aver combattuto una battaglia contro il virus, non contro una persona, di avere anzi sempre favorito il gioco di squadra. Ha aspettato che si depositasse un po’ di polvere, dopo il clamore per quella frase (“Stiamo per portarlo allo schianto”) che spiegava come Crisanti fosse nel mirino da un anno. Lo ha fatto dal palco dell’Alexander Hall di Cortina dove ha presentato il suo ultimo libro nel corso della manifestazione Una Montagna di libri, intervistato dal giornalista Giovanni Viafora e dall’organizzatore Francesco Chiamulera.

LE TELEFONATE – “Nelle intercettazioni ci sono quattro telefonate mie. Mi hanno detto che non potevano essere pubblicate, perché è vietato per legge. Ma non importa, sono responsabile di quello che dico e lo confermo. La roba straordinaria è che io parlo in veneto e quelle trascrizioni sono tutte in italiano…”. Quindi? “Un testo riportato per iscritto può avere mille significati a seconda del tono, chissà cosa succederebbe se intercettassero tanti di noi. Il fatto che parlo in veneto non è una battuta, i toni sono diversi dall’italiano”. Zaia spiega quella telefonata: “Sostanzialmente dico al mio dirigente: è da un po’ che va avanti questa solfa di dire che abbiamo denunciato Crisanti e non è vero. Giustamente il Senato accademico si interrogava su questa cosa, rivendica la libertà di pensiero, cita anche Galileo Galilei: sarei il primo a firmare un loro appello. Allora gli dico: siccome non è vero, teniamoli in sospeso fino alla fine, così poi scoprono che non è vero… potevano andare allo schianto quelli che sostengono questo. Invece no, perché senza confrontarsi, Azienda Zero ha fatto due righe per dire che non è vero e la polemica è sparita”. Insomma, il governatore ci era rimasto male. “Mi sono preso settimane di insulti. Poi è venuto fuori che la soluzione al problema era la lettera di una terza persona e io faccio la figura del bugiardo… Comunque non stavo parlando con un sicario, ma con il direttore generale di Azienda Zero. E lo ribadisco: non abbiamo denunciato nessuno, non abbiamo fatto esposti”. Il colloquio era con Roberto Tognolo, direttore generale della centrale acquisti per la sanità veneta.

“TUTTO IN PROCURA” – Zaia ha l’ossessione della magistratura. “Dal 21 febbraio 2020 abbiamo cercato di cristallizzare la storia, notificando alle Procure con cadenza regolare ciò che stavamo facendo. Abbiamo mandato bancali di carte ai magistrati, perché potessero attivare le procedure di competenza, se l’avessero ritenuto”. Comincia così la ricostruzione del presidente leghista delle due fasi della pandemia. “Io parlo con dolore di questa vicenda. Ho sempre creduto nel lavoro di squadra e ho sempre portato avanti questo. Nel nostro team abbiamo altri accademici, da Evelina Tacconelli a Paolo Navalesi. Sono tutti nel comitato tecnico scientifico. Io Crisanti non lo conoscevo, l’ho conosciuto dopo il 21 febbraio. C’è stato il primo decesso a Vo. Quella sera da solo ho deciso di chiudere il paese e di fare 3.500 tamponi”. Questa è storia già nota: “Ho deciso da solo… non lo dico per narcisismo, ma perché i miei tecnici mi dicevano che i test erano contro le linee guida dell’Oms e ne avrei dovuto rispondere alla Corte dei conti. Siccome ci ho messo la mia faccia e il mio patrimonio, difendo la mia decisione e sfido chiunque a sostenere il contrario. Poi il professore mi chiama e mi dice: ‘Lei ha fatto una cosa che non esiste nel mondo scientifico. Ha creato un’enclave dove noi possiamo studiare il virus. Mi finanzia il giro di tamponi a fine quarantena così vediamo cos’è accaduto?’. Così è andata”.

IL CONFLITTO – Ma perché allora il rapporto si è incrinato? “Ho tentato fino in fondo di fare squadra, ma le continue affermazioni pubbliche con i dirigenti attaccati, i primari messi in difficoltà per le sue dichiarazioni, hanno contribuito ad arrivare a questo. Al professor Crisanti non sono mai state negate le risposte, gli investimenti e nessuno l’ha mai sostituito. Per me resta un valido professionista, non ho nulla da dire. Ma quando mi hanno chiamato per dirmi che aveva distribuito a un incontro pubblico copia dei nostri WhatsApp…”. Era il momento in cui Crisanti sostenne che al piano regionale di prevenzione aveva dato lui un contributo fondamentale, mentre Zaia aveva attributo il merito esclusivo allo staff della Regione. Era la prima fase della pandemia, dove il Veneto se la cavò bene, a differenza dell’inverno 2020 quando i decessi furono superiori alle altre regioni italiane.

I TAMPONI RAPIDI – Risale all’ottobre 2020 la seconda censura di Crisanti, quando la Regione scelse di usare su vasta scala i test rapidi per isolare i positivi. E’ su questo che sta indagando la magistratura di Padova ed è a quel fascicolo che appartengono le intecettazioni. Il docente avvertì che, a differenza dei tamponi molecolari, 3 casi su dieci erano falsi negativi, quindi soggetti malati lasciati in circolazione. Per questo si rifiutava di validarne gli esiti. Ecco la replica di Zaia: “Il tampone per eccellenza è il molecolare. A fine marzo 2020 ne facevamo 2.700 al giorno, a fine 2020, dopo l’estate, ne facevamo 23mila, benché con referti anche a 4, 5, 6 giorni di distanza. Ma per arrivare a 180mila, anche 190 in certe giornate, servivano quelli rapidi. È come se avessi una ventina di naufraghi e tre salvagenti in mare: ne tiro tre e poi vado via? No, lancio anche le taniche e le corde”.

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