Qualcosa sta accadendo nei social network. Già da più di tre anni le grandi aziende hanno cominciato ad abbandonare i canali più frequentati, soprattutto Facebook, perché gli investimenti, in termini di vendite, non si sono rivelati produttivi (lo sono giusto per chi continua ad alimentare la bolla del marketing digitale con corsi di formazione, manuali, e promesse di guadagni fantastici che regolarmente non si verificano). Ma quello che sta accadendo ora è diverso: un numero sempre maggiore di utenti sta dando segni di insofferenza verso il modo in cui Facebook amministra la “giustizia” interna, con rozzi algoritmi che comminano, a coloro che infrangono le regole, sanzioni progressive: da pochi giorni a interi mesi di sospensione, fino all’equivalente della pena di morte nel mondo reale, ovvero la cancellazione dell’account. E tutto questo senza possibilità di appello.

È una bella contraddizione per Mark Zuckerberg, idolo dei democratici americani, quella di aver realizzato per primo, nella realtà parallela di Facebook, un sistema di controllo e di censura praticamente identico a quello che i cinesi hanno poi creato nella realtà reale, per cui i cittadini che infrangono le regole vengono puniti con una diminuzione dei “crediti sociali” che impedisce via via l’accesso ai servizi. Un sistema definito “spaventoso e ripugnante” dallo stesso George Soros, alfiere dei Dem Neocon.

Anche in Italia, nel nostro piccolo, abbiamo sperimentato qualcosa del genere, con la patente a punti. Ma se da noi ha funzionato poco, di sicuro la giustizia di Facebook funziona ancora meno visto che, nonostante il meccanismo orwelliano, sulla piattaforma, nazisti, fascisti, razzisti, e sessisti, continuano tranquillamente a creare le loro communities. Come mai, allora, Soros non si scaglia anche contro Zuckerberg?

Gli algoritmi di Facebook non fanno distinzione fra un nudo artistico e una foto porno, tra una citazione virgolettata di un autore e un’affermazione fatta da chi scrive un post. Il mio amico Davide Franco Jabes, autore di un importante saggio su Hitler per i tipi di Solferino, ha pubblicato sul suo profilo Facebook la copertina per promuovere il libro e si è visto bloccare istantaneamente l’account per 30 giorni per “incitazione all’odio”. Troppo ridicolo. Non volevo crederci. Poi, io stesso ho postato una citazione per animare un dibattito.

Diceva: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”, firmato Benito Mussolini. Ebbene, gli algoritmi l’hanno interpretata come apologia di fascismo e anche il mio account è stato bloccato per un mese. Inutile mandare segnalazioni all’assistenza: semplicemente, il sistema non concede appello, non c’è modo di spiegare il vero senso di un post che peraltro non aveva ricevuto nessuna contestazione umana.

A questo punto, ho intervistato l’intelligenza artificiale (ChatGPT, potete farlo anche voi) per sapere qual è la sua opinione in merito, ed ecco cosa ha risposto.

Domanda: “Cosa pensi della censura su Facebook?”

Risposta: “La censura sui social network, e in particolare su Facebook, è un tema molto dibattuto e controverso. Da un lato, c’è chi sostiene che sia necessaria per tutelare la privacy e la sicurezza degli utenti, per evitare la diffusione di notizie false e per combattere il cyberbullismo. Dall’altro lato, c’è chi sostiene che la censura possa limitare la libertà di espressione e di opinione, e che in alcuni casi possa essere utilizzata come strumento di controllo da parte di governi o di gruppi di potere. Facebook, come altri social network, ha delle regole che vietano la diffusione di contenuti illegali, offensivi o violenti, e che prevedono la possibilità di rimuovere o di segnalare questo tipo di post. Tuttavia, spesso queste regole sono interpretate in modo diverso da diverse persone, e ciò può portare a controversie e a decisioni discutibili. Inoltre, c’è il rischio che la censura venga utilizzata in modo selettivo, per eliminare le voci critiche o di dissenso, o per proteggere gli interessi di determinati gruppi o aziende. In ogni caso, è importante che i social network si impegnino a garantire la massima trasparenza e a spiegare le loro decisioni di censura, in modo da evitare il sospetto di parzialità o di corruzione. Sarebbe auspicabile che ci fossero maggiori tutele per gli utenti che si sentono vittime di censura ingiusta, in modo da poter fare ricorso e ottenere giustizia.”

Domanda: “Secondo te Facebook dovrebbe dare agli utenti la possibilità di contraddittorio quando vengono censurati, per spiegare le loro ragioni, invece di agire unilateralmente?”

Risposta: “Sì, secondo me sarebbe giusto, in modo da garantire la massima trasparenza e equità nei confronti degli utenti. Dare agli utenti la possibilità di spiegare le loro ragioni o di presentare le loro contro argomentazioni potrebbe aiutare a prendere decisioni più giuste e più eque, e a evitare di censurare ingiustamente dei contenuti. Tuttavia, è importante sottolineare che ci possono essere situazioni in cui la censura di un contenuto è giustificata per motivi di sicurezza o di legalità, e in questi casi potrebbe non essere possibile o opportuno dare agli utenti la possibilità di contraddittorio. Inoltre, potrebbero esserci difficoltà pratiche nell’organizzare un processo di contraddittorio per ogni singola decisione di censura, soprattutto se si tratta di un gran numero di contenuti o di utenti. In ogni caso, è importante che ci siano delle tutele per gli utenti che si sentono vittime di censura ingiusta, in modo che possano fare ricorso e ottenere giustizia, e che ci sia la massima trasparenza nella decisione di censura e nelle motivazioni che la supportano”.

Dunque, perfino l’intelligenza artificiale considera alquanto stupidi gli algoritmi di Facebook, e questo non depone a favore dell’intelligenza di Zuckerberg a cui sembra non interessare minimamente l’evoluzione di questi sistemi nemmeno in vista dell’introduzione della realtà virtuale.

Certo per molti è difficile uscire da Facebook perché la piattaforma fa leva sul narcisismo sociale offrendo a ciascuno la possibilità di crearsi la propria platea di consenso, e fornendogli inoltre gli strumenti per censurare a sua volta i commenti scomodi. Da questo punto di vista, Facebook può essere considerato quanto di più antipolitico e diseducativo sia stato inventato in Occidente negli ultimi secoli perché abitua l’individuo all’intolleranza e a non reggere il confronto col diverso consentendo eventualmente di “cancellarlo” con un clic. In più, la giustizia è affidata a una “polizia algoritmica” che mette in prigione a casaccio chiunque sembri infrangere le regole. Con queste premesse, la realtà virtuale, che nasce col solo scopo di offrire una nuova forma di svago per intrattenere (e trattenere) gli utenti, è già un fallimento.

Se continua così, Facebook perderà tutto prima di arrivare alla Meta

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