Secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’estensione della flat tax al 15% ai redditi fino a 85mila euro dei lavoratori autonomi non discrimina i dipendenti. La matematica non è un’opinione, si usa dire, ma in questo caso a quanto pare lo diventa. Eppure basta fare due conti per rendersi conto che discriminazione c’è eccome visto che una partita Iva residente in una grande città e con redditi vicino alla soglia massima finisce per pagare ogni anno fino a 10mila euro in meno di tasse rispetto a un lavoratore dipendente che guadagna la stessa cifra. “L’estensione della tassa piatta per le partite iva fino a 85 mila euro non discrimina i lavoratori dipendenti, mentre fino a 85 mila euro il lavoratore autonomo, anche con la flat tax, paga comunque di più o incassa di meno di un dipendente”. lo ha detto la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di fine anno. Quindi che sia una norma che discrimina i dipendenti è “una falsità che, approfondendo un pochino, non sarebbe difficile smontare“. Anticipando la richiesta della presidente del Consiglio, la questione era stata “un pochino approfondita” da Ilfattoquotidiano.it già lo scorso 23 novembre.

Ma poi altri studi in materia sono stati condotti, portando più o meno tutti allo stesso risultato. Lo scorso 5 dicembre ad esempio l’Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato addirittura in 13mila euro la possibile differenza di tasse versate tra un autonomo e un dipendente a parità di reddito. Con evidenti “squilibri sulla base dei principi di equità orizzontale del prelievo” ha spiegato l’Upb aggiungendo che il vantaggio fiscale andrà soprattutto ai più ricchi, perché “i criteri impliciti derivanti dall’applicazione del regime determinano una selezione tale per cui i soggetti che aderiscono appartengono per oltre il 77% al 10% dei contribuenti con reddito da lavoro più elevato”. Qualche giorno fa è arrivato anche il responso dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica di Milano: con un reddito di 75mila euro il vantaggio per una partita Iva in termine di minori tasse è di 8mila euro. Il 26 dicembre la simulazione viene ripresa anche dal Corriere della Sera, questa volta prendendo ad esempio il caso di un “elettricista forfettario”, anche qui con un risparmio significativo: 6.500 euro all’anno.

Il centro studi della Cgil calcola che “fino al 2022, infatti, un autonomo con 85.000 euro di ricavi pagava la stessa Irpef di un omologo dipendente, ovvero circa 18.800 euro più le addizionali regionali e comunali”, invece dal 2023 “pagherà un’Irpef pari a 7.361 euro, ovvero oltre 11.400 euro in meno, rispetto all’anno precedente e rispetto ad un dipendente”. L’incremento netto mensile ammonta a circa 876 euro, sottolinea ancora la Cgil. Le cifre divergono a seconda del reddito specifico considerato e della residenza del soggetto su cui viene effettuata la simulazioni (le addizionali Irpef incidono in alcuni casi sensibilmente) ma puntano tutte nella stessa direzione. Gli studi e gli articoli sono pubblici e a disposizione anche della presidenza del Consiglio.

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