Illuminati, migliori, autocrati, editori, direttori, giornalisti, opinionisti (di se stessi), esperti (a contratto), sondaggisti 2013-2023: l’armata brancaleone che ci comanda da anni. Il racconto della politica italiana degli ultimi anni, da quel dicembre 2016 in cui la sconfitta al referendum costituzionale portò Matteo Renzi alle dimissioni da presidente del Consiglio, fino alle elezioni che hanno consacrato la prima donna premier, Giorgia Meloni. La tesi di Scafisti della democrazia (edizioni Aliberti, 187 pagg., 17euro), ultimo libro del giornalista Francesco Bonazzi, è semplice e tagliente come una lama. Dall’emergenza Covid all’emergenza Ucraina, passando per “ce lo dice l’Europa”, un’élite di incompetenti nei ruoli chiave del Paese sta svuotando ogni giorno di senso le parole e la democrazia stessa. Il Riformista va a braccetto col Sondaggista. Il Populista si contrappone al BanchiereCentrale, mentre il Grande Concessionario continua a fare i suoi interessi e il Grande Capitale Transnazionale pure, se non più di prima, nonostante i proclami dei governi e delle opposizioni. L’Opinionista trionfa e pontifica su tutto. Mentre il Povero Cristo, ovvero la maggioranza degli italiani, continua a vivere in un Paese in cui la salute è più importante della libertà, la lotta alle fake news vale più della ricerca di una verità plausibile, produrre più armi serve a portare la pace, e la selva di lavoro precario più intricata e mortifera dell’Occidente cresce incontrastata.

L’autoreFrancesco Bonazzi, giornalista professionista, corrispondente per Alliance News, collabora con Panorama e La Verità. Ha lavorato per l’Ansa a Washington e a Milano, ha condotto inchieste per l’Espresso, il Fatto Quotidiano, Il Secolo XIX ed è stato vicedirettore di Dagospia. Ha pubblicato Telekom Serbia (Sperling & Kupfer), insieme a Bankomat, Prendo i soldi e scappo (Il Saggiatore), Viva l’Italia! (Chiarelettere), La Rivoluzione senza nome (Aliberti).

Ilfattoquotidiano.it pubblica qui un’anticipazione di Scafisti della democrazia. Capitolo: reato di povertà.

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Soffocati in un container come due topi. Said Salah Ibrahim Abdelaziz aveva venticinque anni e Samir Mohamed Said ne aveva ventinove. La notte del 20 settembre del 2022 sono morti in un cantiere edile a Moltrasio, sul lago di Como, dove stavano costruendo alcune ville di lusso. Non avevano i soldi per fare i pendolari con Milano e allora i due giovani egiziani si fermavano a dormire in un container. Li ha traditi il monossido di carbonio sprigionato dal braciere acceso per riscaldarsi. Il giorno dopo, la notizia era introvabile sui principali quotidiani italiani, eccezion fatta per un articolo sul Fatto Quotidiano e uno smilzo trafiletto su Repubblica, sciattamente ambientato sul “Lago di Garda”. Immigrati Stranieri che lavoravano in una delle zone più belle e ricche d’Italia, a un passo da quella Cernobbio dove ai primi di settembre di ogni anno si riuniscono capitani d’azienda e finanzieri, insieme a una selezionata pattuglia di politici sempre sotto esame, per raccontarsi dove sta andando il mondo e, soprattutto, dove deve andare. Said e Samir, ultime ruote del carro produttivo, sono andati all’altro mondo in modo autonomo.

Se quel giorno Flavio Briatore si fosse lamentato che non trova camerieri per le sue pizze al Pata Negra da sessanta euro e avesse fatto la consueta sparata contro il reddito di cittadinanza, c’è da giurarci che avrebbe trovato ampio spazio su tutti i media. Per tutto il 2022, specie in campagna elettorale, non si è parlato altro che del reddito di cittadinanza, con la Confindustria di Carlo Bonomi a chiederne l’abolizione quasi ogni giorno e Matteo Renzi a promettere un referendum abrogativo. Sul tema si tornerà più avanti, ma forse sarebbe meglio occuparsi prima di quella strage quotidiana che è lavorare in Italia. Secondo i dati dell’Inail, da gennaio a settembre del 2022 ci sono stati 677 vittime sul lavoro: tre morti al giorno. Sulla carta c’è una flessione del 12,3 per cento rispetto a un anno prima, ma se si depura il dato dal Covid c’è un aumento del 15,7 per cento. Sono numeri che indignano e dovrebbero far arrossire di vergogna, ma niente. In Italia sembra che il problema sia il maledetto reddito di cittadinanza. Alla Confindustria interessa chi lo piglia, non chi muore in fabbrica e nei cantieri. Forse si vuole mano d’opera ancora più a buon mercato, chi lo sa.

Nell’ultima settimana di campagna elettorale, l’ex premier Renzi ha attaccato i 5 Stelle quasi ogni giorno proprio sul reddito di cittadinanza. Per l’esponente del Terzo Polo, “ciò che sta accadendo al Sud, con le manifestazioni di giubilo di chi percepisce il reddito di cittadinanza al passaggio di Conte, costituisce la più scandalosa operazione politica di voto di scambio degli ultimi anni». E Renzi si rivolge ai giovani del Meridione: “Ai ragazzi del Sud dico: non fatevi portar via il futuro. Non è con un assegno da cinquecento euro al mese, dato da un politico, che uscirete dalla povertà. Per uscire dalla povertà occorrono gli investimenti, le infrastrutture, la sanità, l’educazione. Non i sussidi, l’assistenzialismo, il clientelismo” (Ansa, 21 settembre 2022). Il giorno dopo rincara la dose e denuncia: “Conte si dovrebbe vergognare: Achille Lauro faceva il voto di scambio con i suoi soldi, Conte lo fa con i soldi degli italiani. Il reddito di cittadinanza non toglie dalla povertà, ma condanna alla povertà”. Infine, due giorni prima del voto, l’ex sindaco di Firenze attacca ancora sull’odiato sussidio: “Conte dice che il redito di cittadinanza è una misura per i poveri: ai poveri serve assicurare il lavoro, la sanità, l’istruzione. Non organizzare un sistema, spesso truffaldino, per garantire il consenso di alcune parti del Paese”.

Sistema “truffaldino”? Che ci siano stati abusi e irregolarità è un dato di fatto, dimostrato da decine di inchieste della Guardia di finanza e dei carabinieri, ma forse è un po’ eccessivo definire una gigantesca truffa un istituto che ha aiutato a tirare avanti un milione e centocinquantamila persone e ha consentito a molti di loro di rifiutare paghe da fame, o vergognose come i tre euro l’ora. Di “sistemi truffaldini” ce ne sarebbero anche altri, con lo stesso metro, se si guarda un po’ nella vasta boscaglia dei sussidi e delle agevolazioni fiscali alle imprese private, ma non per questo se ne chiede l’abolizione criminalizzando intere categorie. Basterebbe fare gli opportuni controlli (certo, avendo i controllori, ma questo è un altro problema).

Meno violento di Renzi, ma non meno contrario, il presidente di Confindustria Bonomi. Per il leader degli industriali il reddito di cittadinanza “così com’è pensato oggi non funziona” (6 ottobre 2022) e come strumento di politiche attive del lavoro non può che essere un fallimento “perché i centri di pubblico impiego non hanno mai funzionato davvero”. Tanto vale, invece, destinare tutte quelle risorse al salvataggio dell’industria italiana, senza la quale non ci sono posti di lavoro.

Anche quando Bonomi è andato in udienza dal papa, il 12 settembre 2022, pur senza citare espressamente il reddito caro ai grillini, ha comunque fatto un riferimento abbastanza chiaro quando ha parlato di “sussidi che non servono e scoraggiano il lavoro”. Quel giorno Bergoglio non era stato tenero, specialmente quando ha parlato di “perdita di contatto degli imprenditori col lavoro” e ha denunciato che “crescendo, diventando grandi, la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche. Si dimentica l’odore del lavoro”.

Non viene dalle officine, ma non ha dimenticato l’odore del lavoro, un personaggio come Flavio Briatore, collegato con gli istinti naturali degli imprenditori più ruspanti. Un buon saggio l’ha offerto il 7 settembre 2022 intervenendo a La Zanzara su Radio24, al grido di “Non ho mai visto un povero creare posti di lavoro”. Per Briatore “oggi molti ragazzi cercano lavoro e poi sperano quasi di non trovarlo. Lo vedo chiaramente: preferiscono il reddito di cittadinanza a un percorso di carriera”. Poi, arrivati al momento delle proposte concrete, Briatore chiede la sospensione del reddito di cittadinanza da aprile a ottobre “perché noi abbiamo bisogno di gente che vuol lavorare”. Rispetto alle posizioni di un Renzi o della Confindustria, l’imprenditore partito da Cuneo è perfino moderato: non chiede l’abolizione, gli basta la sospensione per l’alta stagione del suo Billionaire.

Ma la povertà non è reato

Giusto o sbagliato che sia, il reddito di cittadinanza è stato ed è una risposta alla crisi e a un’Italia sempre più diseguale. Forse “non toglie dalla povertà“, come osserva il senatore Renzi, ma probabilmente aiuta ad arrivare a fine mese e a pagare affitti e bollette. Secondo i dati dell’Inps, nel 2021 sono stati 1,76 milioni i nuclei familiari che hanno ricevuto il reddito o la pensione di cittadinanza, per un totale di oltre 3,93 milioni di persone coinvolte. L’importo medio è stato di circa 546 euro e ognuno può giudicare da solo se siano tanti o pochi, se sia una cifra che può cambiare o meno gli equilibri in un budget familiare e se sia un introito che può far rifiutare un lavoro vero. Sicuramente, e questo è un punto indubitabile, se si trova un datore di lavoro scorretto che paga in nero, cumulare reddito di cittadinanza e sussidio può essere un buon affare. Specie se si vive al Sud, dove la vita può costare anche la metà rispetto a Milano, Torino o Genova. L’Osservatorio Inps ha anche quantificato in 8,79 miliardi l’investimento dello Stato sul reddito di cittadinanza. Sicuramente non sono pochi soldi, visto che a occhio valgono un terzo di una legge di Bilancio di medie dimensioni. Ma sono pur sempre meno della metà dei diciotto miliardi che lo Stato ha speso nel 2022 per armi e difesa (contro i 16,8 miliardi del 2021).

Secondo l’Anpal, l’agenzia per le politiche attive del lavoro, mediamente il trentacinque/quaranta per cento dei beneficiari ha avuto un contratto alle dipendenze o parasubordinato negli ultimi ventiquattro mesi e quindi il reddito funziona in parte anche come ammortizzatore sociale di un mercato del lavoro che notoriamente presenta svariate tipologie di flessibilità. Davvero non si capisce perché togliere il reddito di cittadinanza a chi è stato espulso dal mercato del lavoro e magari ha anche cinquant’anni. Ciò non toglie che lo strumento sia sicuramente perfettibile e vada reso più equo e più efficiente. Perché comunque il problema di come contrastare le povertà esiste ed è da paternalisti dell’Ottocento pensare che si risolva solo con il genio e la generosità del Briatore di turno in braghe bianche. E questo sorvolando sulle varie forme di criminalizzazione della povertà che si possono cogliere in vari strati della società e sono ben rappresentati da certe ordinanze municipali “per il decoro” che tentano di rendere la vita ancora più difficile a ogni forma di disagio sociale.

In un report dell’ottobre 2022 sulle condizioni di vita e il reddito delle famiglie, l’Istat ha scritto che sono quasi dodici milioni le persone che in Italia sono a rischio povertà, ovvero il 20,1 per cento di tutta la popolazione. Tra i vari indicatori, colpisce che l’11,7 per cento degli individui viva in famiglie a bassa intensità di lavoro, con i componenti tra i diciotto e i cinquantanove anni che hanno lavorato meno di un quinto del tempo. L’ente statistico analizza poi l’esclusione sociale, un indicatore che tiene conto delle condizioni di reddito, intensità di lavoro e deprivazione materiale. In totale, in Italia sono più di quattordici milioni le persone a rischio di povertà o esclusione sociale: il 25,4 per cento, oltre una persona su quattro. Il problema non è nuovo perché i dati sono tristemente in linea con quelli del 2020 e del 2019. Il reddito medio delle famiglie è di 32.812 euro, cioè di 2.734 euro al mese. Rimangono ancora lontani i livelli di reddito precedenti alla crisi del 2007, con una perdita media del 6,2 per cento.

Nel medesimo rapporto, l’Istat afferma che il reddito di cittadinanza ha giocato “un ruolo chiave” nel contrasto alla povertà, che sarebbe stata probabilmente maggiore anche a causa della pandemia.

A settembre del 2022 anche Eurostat ha certificato che in Italia una persona su quattro è a rischio povertà. Per la precisione il 25,2 per cento della popolazione, in lieve aumento (+0,3 per cento) rispetto alla precedente rilevazione e sopra al 21,7 per cento che è il livello medio dell’Unione europea. La Francia si ferma al diciannove per cento ed è parecchio di meno dell’Italia, se si tiene conto che le due economie sono abbastanza comparabili. Un mese dopo, l’11 ottobre 2022, il Fondo monetario internazionale ha rivisto al ribasso le previsioni per l’economia italiana nel 2023: +0,2 per cento la crescita del pil, dopo il +3,2 per cento del 2022. Nell’occasione, i tecnici di Washington hanno suggerito all’Italia di “sostenere le fasce di reddito più deboli“. Non è una botta improvvisa di laburismo, ma un consiglio assai pragmatico per sostenere la domanda interna e il gettito fiscale, oltre che un minino di coesione sociale che alla fine dovrebbe far comodo a tutti.

Anche la Chiesa italiana è per la conferma del reddito di cittadinanza, ovviamente migliorandolo. Il 17 ottobre, è intervenuto sul tema Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, affermando: “Una cosa che mi ha colpito, e speriamo che il governo sappia affrontare con molto equilibrio, è il problema del reddito di cittadinanza che è stato percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti”. Il cardinale ha poi fatto notare che “quindi c’è un aggiustamento da fare, ma mantenendo questo impegno che deve essere importante in un momento in cui la povertà sarà ancora più dura, ancora più pesante e rischia di generare ancora più povertà in quelle fasce dove si oscilla nella sopravvivenza, che devono avere anche la possibilità di uscire da questa zona retrocessione”. C’è da augurarsi che al governo lo ascoltino e non si mettano la croce sul petto solo per fare i crociati della domenica, dicendo messa con le spalle voltate ai fedeli.

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