di Savino Balzano*

Quello di Giorgia Meloni non è un governo politico, se non in minima parte: mi ero preso del tempo per ragionarci, per stare a guardare i provvedimenti, ma questa manovra pare davvero squarciare il velo e dimostrare come le aspettative che alcuni avevano pensato di poter nutrire in realtà erano mere illusioni. Per essere politico un governo deve esprimere la sua vocazione popolare, rispondere alle esigenze principali nutrite dalla maggioranza del paese, compiere scelte e imboccare percorsi nel rispetto della sovranità popolare, della sovranità costituzionale.

Per comprendere se un governo è politico o meno bisogna osservare le priorità nell’agenda: lotta alla povertà e al precariato, ad esempio? Investimenti pubblici e grandi opere? Oppure, all’opposto, conti in ordine? Perché l’idea di conciliare il tutto non è semplicemente credibile: la coperta è troppo corta. Quello di Meloni è certamente un governo espressione della volontà popolare, questo sì: a differenza delle ammucchiate che l’hanno preceduta, questa maggioranza è certamente frutto di un orientamento chiaro emerso dalle urne. È un bene, ci mancherebbe altro: alcuni provavano ad abituarci all’idea di una sorta di oligarchia che imperava a prescindere dal voto e sicuramente positivo è vedere a Palazzo Chigi qualcuno che sia stato individuato dall’elettorato.

Questo però non basta a dire che il governo sia politico nel senso che si dovrebbe intendere con l’espressione: politico è un governo che abbia la volontà e la forza di disattivare il pilota automatico; politico è un governo che non sia sottoposto al ricatto della finanza, dei mercati, dello spread smosso a piacimento da qualcuno per generare irresponsabilmente panico. Il governo Meloni, con Giancarlo Giorgetti appollaiato sul baule del tesoro, vi pare possa rispondere a tali prerogative? Dopotutto Meloni è stata chiara: ad ogni spesa deve corrispondere un taglio e il bilancio in ordine è la priorità assoluta. Politico quindi questo governo può forse esserlo solo sul campo dei diritti civili: dopotutto anche la (autodefinitasi) sinistra ha provato a tracciare la sua identità su questo terreno, dopo aver abbandonato da tempo quello sociale.

Facciamo un gioco: immaginate di essere volati su Marte prima dell’estate e di essere atterrati sulla Terra oggi stesso; immaginate di esservi completamente disinteressati delle vicende politiche italiane e di aver letto in fase di atterraggio i contenuti della manovra. Se qualcuno vi avesse detto che in calce portava la firma di Mario Draghi, del Partito Democratico, ci avreste creduto? In tutta onestà io me la sarei bevuta completamente: questa è una manovra perfettamente in linea con le politiche adottate fino a qualche mese fa (e durante gli ultimi decenni peraltro).

Se qualcuno confidava in Meloni per veder risorgere lo stato sociale malamente picconato dal neoliberismo o per vedere il ritorno del vero diritto del lavoro si è illuso, purtroppo. Il pilota automatico è saldo più che mai e le scelte saranno ancora tecniche: ecco, dunque, perché mi sento libero di affermare che quello di Meloni è un governo tecnico, esattamente come il precedente. E qui, in conclusione, è contenuta la genialità di chi quel pilota se l’è inventato: il suo punto debole era proprio nella lacuna di legittimazione politica. Oggi quella lacuna è perfettamente colmata: apparentemente infuso dalla politicità celebrata nelle elezioni, sorretto da un grande inganno, il vincolo esterno è più saldo che mai e il paese rischia di rimanerne definitivamente stritolato. L’ultima speranza è che Meloni stia fingendo e provando a rassicurare le élite della finanza internazionale prima di sferrare il suo colpo. Ci credo poco, ma stiamo a vedere.

*Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro e collabora con diverse riviste

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