A volte ritornano, anche se prima che ciò accada servono trent’anni. Tanti ci separano dall’epoca di Tangentopoli, in cui fu imputato e condannato, uno dei simboli della politica che scialava e arraffava, il socialista Gianni De Michelis, scomparso nel 2019, all’età di 79 anni. Lo chiamavano il Doge di Venezia, fu per tre volte ministro, ma anche vicepresidente del consiglio dei ministri e parlamentare per 18 anni. Adesso, esattamente trent’anni dal 1992, quando ricevette il primo di una lunga serie di avvisi di garanzia, per il leader dei socialisti veneti spunta una proposta che, se non fosse scritta in una lettera inviata al sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, potrebbe sembrare il frutto di un’allucinazione.

A rivolgersi al primo cittadino di Venezia è Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia, già presidente della commissione Affari esteri. È la figlia di Bettino Craxi, il capo dei socialisti che fu presidente del consiglio dei ministri dal 1983 al 1987, morto nel 2000 ad Hammamet, in Tunisia, dove aveva trovato rifugio dopo le condanne di Tangentopoli. Lui si definiva un “esule”, in realtà era un ricercato, visto che per due delle inchieste milanesi (il processo Eni-Sai e le tangenti pagate per la Metropolitana Milanese) era stato condannato a più di dieci anni di carcere.

Stefania Craxi vorrebbe intitolare a De Michelis il Mose, il sistema di dighe mobili costruito alle bocche di porto della laguna di Venezia, che una settimana fa ha dimostrato di funzionare e di reggere anche un’acqua alta eccezionale di 173 centimetri sul medio mare. Più che una provocazione, sembra l’avvio di un’operazione di rivincita, per chiudere i conti più imbarazzanti della Prima Repubblica, affogata nelle tangenti. Dai reati di corruzione e finanziamento illecito venne travolto anche De Michelis, che ebbe la carriera politica distrutta, anche se alla fine rimediò una condanna abbastanza modesta rispetto alla mole delle accuse. Finirono con il patteggiamento due processi per un totale di due anni di reclusione. Uno di questi riguardava la grande spartizione delle tangenti in Veneto (assieme al democristiano Carlo Bernini), l’altro lo scandalo Enimont.

I filoni che lo avevano visto indagato o imputato erano però molto più numerosi. Ad un certo punto, messo alle spalle al muro dalle accuse, decise di ammettere una serie imponente di soldi incassati da lui o dal suo portaborse Giorgio Casadei. Lo fece, in una stanza del palazzo di giustizia di Treviso, rispondendo alle domande dell’allora sostituto procuratore Carlo Nordio, oggi ministro della Giustizia. In qualche processo venne assolto, in altri beneficiò della prescrizione. Gli rimase però appiccicata addosso l’immagine del politico brillante, ma spregiudicato, che non aveva esitato a ricorrere ai finanziamenti illeciti per mantenere una vita e una attività pubblica sopra le righe e sopra i propri mezzi.

La proposta di Stefania Craxi è ancor più provocatoria se si pensa che il Mose è stato costruito dal Consorzio Venezia Nuova che nel 2014 è stato al centro di uno degli scandali politici più colossali, decine di condanne e milioni di tangenti pagate a pubblici ufficiali e uomini dello Stato. È vero che il Mose funziona, ma è anche costato 6 miliardi di euro, non è ancora ultimato a vent’anni dalla prima pietra e ha ingoiato un fiume di denaro illecito. La proposta è anche l’occasione per attizzare la polemica con chi era contrario all’opera. La senatrice di Forza Italia, infatti, scrive come tutti abbiano “potuto apprezzare l’utilità del Mose, un’opera osteggiata per motivi ideologici fin dal momento della sua ideazione”. Ricordando l’ultimo ventennio del secolo scorso, Stefania Craxi aggiunge: “Certamente tutto questo non accadeva spesso a novembre, prima che il Modulo sperimentale elettromeccanico, il cui acronimo ricorda il profeta che separava le acque, entrasse in funzione. Tuttavia, se c’è stato un profeta che si è battuto per convincere il popolo scettico e recalcitrante che si potessero separare le acque anche a Venezia, questi è stato Gianni De Michelis”.

La senatrice spiega: “Fra le tante intuizioni di quel lagunare un po’ chimico e molto politico c’è stato il Mose, che iniziò a prendere forma esattamente trentotto anni fa, con la legge 29 novembre 1984 n. 798, dando il via alla creazione di un Consorzio (Venezia Nuova) con l’incarico di progettare un sistema di dighe mobili idonee a bloccare le maree eccezionali che sommergevano la città. Una legge voluta e difesa dall’allora ministro delle partecipazioni statali, il veneziano De Michelis”. Conclusione: “Nessuno può negare il suo indiscutibile contributo alla crescita di Venezia, al progresso dell’Italia e dell’Europa. Ecco perché, signor Sindaco, le propongo di intitolare il Mose a Gianni De Michelis, un uomo dall’intelligenza davvero visionaria”.

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