Dalla fine di febbraio all’8 novembre il Ministero dell’Interno tedesco ha registrato 1.024.841 profughi dall’Ucraina in Germania. Non è dato però conoscere il numero esatto, perché possono soggiornare fino a 90 giorni senza obbligo di registrazione, dopo i quali è sufficiente (fino al 28 febbraio 2023) che abbiano presentato domanda per un permesso di soggiorno, indipendentemente dall’averlo ottenuto. Inoltre, chi è registrato ma va verso un altro Paese Ue, o torna in patria, non ha obbligo di cancellarsi. Dai dati del Ministero circa l’84% dei rifugiati sono donne, nel 58% dei casi con i propri bambini. Si sono aggiunte ai circa 138mila connazionali già residenti in Germania alla fine del 2021. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica Destatis prima della guerra gli ucraini erano pari appena all’1,3% di tutta la popolazione straniera nella Repubblica Federale, anche se nell’arco di dieci anni il loro numero era quasi raddoppiato.

Un’indagine dell’istituto economico Ifo di Monaco, su un campione circa 1.500 ucraini, evidenzia che il 20% dei nuovi arrivati ha trovato impiego. Anche se più della metà con lavori inferiori alla loro qualifica professionale. Un terzo dei profughi mira a tornare nel proprio Paese di origine, la maggioranza vuole invece restare in Germania nel prossimo biennio, ed i ricercatori hanno registrato un diffuso interesse ad integrarsi. L’Agenzia federale del lavoro in agosto ne ha censiti a sua volta 109mila con un impiego regolare, soggetto ad obbligo previdenziale. Di questi circa 51mila sono arrivati dallo scoppio della guerra. Ed ancora altri 17mila hanno trovato un’occupazione. Inoltre, in ottobre in circa 96mila erano iscritti ad un corso di lingua. Non sempre le classi sono però al completo, perché alcuni decidono di tornare in Patria senza preavviso. Per l’organizzazione dei corsi è responsabile l’Ufficio federale per l’immigrazione ed i rifugiati, il Bamf, che cura anche la tenuta del Registro centrale degli stranieri presenti nel Paese per periodi di oltre tre mesi.

Anche se la Germania non può sperare di risolvere così la carenza di mano d’opera qualificata, le grandi imprese tedesche hanno contribuito ad assumere i profughi. La Sap, multinazionale per la produzione di software gestionale, ha lanciato un programma da metà aprile presentandolo con una pagina web dedicata. Le Deutsche Bahn, ne ha assunti in diverse posizioni, dagli ingegneri agli operatori telefonici. Corsi di integrazione, prodromici all’impiego, sono stati progettati fin da aprile pure da Siemens. Dal primo giugno i rifugiati ucraini in stato di bisogno, dopo richieste provenienti anche del sindacato Dgb, sono ammessi al reddito minimo di sussistenza (Grundsicherung), previa registrazione all’Agenzia federale per l’impiego (prima vigevano le norme per i richiedenti asilo, anche se dall’invasione russa erano esentati dal chiederlo). Al 13 ottobre figuravano quindi nelle liste dei Jobcenter 609 mila ucraini, di cui 204 mila minori.

Strutture quasi allo stremo – Le strutture di accoglienza di molti comuni della Germania, già oberate anche da profughi da altri Paesi come Siria e Afghanistan, con i nuovi afflussi causati dalla guerra sono tuttavia quasi allo stremo. La polizia federale solo in ottobre, oltre a tutto, ha registrato 13.400 ingressi non autorizzati. Lo Stato si è quindi impegnato a coadiuvare le amministrazioni locali con 4,25 miliardi nel 2022 e 2023 ad aumentare le capacità ricettive. La Baviera è arrivata a quasi 40mila posti di accoglienza, ed anche 29mila appartamenti circa sono affittati, o subaffittati, sul mercato libero a rifugiati ucraini. Anche la Bassa Sassonia ha più che raddoppiato la propria offerta, ma i posti sono già occupati quasi all’80%. Così come, secondo quanto cita la ARD, accade pure in Meclemburgo-Pomerania e Brandeburgo. Nelle grosse città, Amburgo e Berlino, aggiunge l’emittente, si sfiora già la saturazione al 99%. In molti casi affastellati in spazi ristetti e rumorosi, famiglie con bambini ed anziani, magari con animali di compagnia, sfoderano spirito di adattamento. A peggiorarne la permanenza nelle strutture di prima accoglienza hanno però ripreso a crescere, come non si registrava da sette anni, attentati e danneggiamenti xenofobi. Nei primi tre trimestri dell’anno ne sono stati registrati in tutto il Paese 65; quasi quanti tutto l’anno scorso (70). Dagli oltre mille nel 2015 la tendenza era stata altrimenti in costante diminuzione. Preoccupante, peraltro, anche il dato delle aggressioni dirette ai profughi: 711 nei primi tre trimestri di quest’anno, quasi quanto le 965 del 2021.

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