La settimana scorsa si è chiuso l’aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro per Monte Paschi Siena. Si tratta del settimo aumento di capitale in 15 anni, una operazione che potrebbe essere oggetto di un trattato di psicologia paradossale. Io ho individuati tre paradossi.

1° paradosso: le banche del consorzio di garanzia (quelle che avrebbero dovuto comprare le azioni se nessuno le avesse volute) hanno portato a casa 125 milioni di euro di commissioni per permettere al Tesoro, azionista di maggioranza della banca al 64%, di sottoscrivere il 65% circa dell’aumento di capitale (1,6 miliardi di euro) perché, senza quella garanzia, lo Stato non avrebbe potuto partecipare, per legge, all’operazione. Quindi, se ci limitiamo alle semplici nozioni di aritmetica, il “rischio” che le banche del consorzio correvano nel caso in cui nessun altro (oltre allo Stato) avesse sottoscritto l’aumento di capitale era solo di 900 milioni di euro circa. Fatto sta che poi l’aumento di capitale è stato sottoscritto al 94% per cui quel consorzio si ritrova a dover acquistare solo 54 milioni di euro di inoptato (6% di 900) a fronte di un incasso di 125 milioni con un ricavo, quindi, di circa 70 milioni di euro.

Ma, è una legge del mercato, il rischio si paga per cui una commissione del 14% circa (125/900), in una libera economia, è anche, secondo logica, giustificabile dal lato del venditore del servizio. Perché guadagnare di meno se c’è uno stolto che me li offre? Il paradosso sta nel fatto che ad offrire quelle laute commissioni è lo Stato che, attraverso quella garanzia, assicura a noi cittadini sicuramente il pagamento di ulteriori tasse. In altri termini, noi cittadini abbiamo contribuito, contro il nostro volere, all’ennesimo tentativo di salvare una banca che già dieci anni fa doveva essere dichiarata fallita pagando (oltre a 1,6 miliardi di euro) anche 125 milioni di euro a chi mi costringe a fare una cosa che sicuramente non avrei mai fatto: rischiare le mie tasse per una azienda di Stato gestita male e che ha già bruciato negli ultimi 14 anni 22 miliardi di euro, di cui 4,8 miliardi dello Stato.

2° paradosso: hanno sottoscritto l’aumento di capitale anche enti di previdenza che provano, quindi, a salvare una banca che ha deciso di attuare come strategia di rilancio il taglio di circa 4.000 lavoratori. In altri termini: coloro che hanno la missione di assicurare le diverse forme di tutela ed assistenza ai lavoratori, in relazione a situazioni di bisogno in cui gli stessi o i loro famigliari possono venire a trovarsi in seguito al verificarsi di determinati eventi riconducibili o meno allo svolgimento dell’attività lavorativa e finalizzate sostanzialmente a garantire la continuità del reddito, sostengono chi invece ha deciso di “accompagnare” all’uscita migliaia di persone.

Forse hanno pensato che, in tal modo, salveranno questi 4.000 cittadini visto che, prima o poi, questa banca sarà sottoposta a procedure di liquidazione più dolorose? Veri filantropi. Ma la filantropia non rientra nell’oggetto sociale di un ente di previdenza! Provate a chiederlo a quegli ingegneri, architetti, medici ed odontoiatri che versano i contributi in quei determinati enti previdenziali e che, forse, hanno pure perso i loro risparmi investendo, obtorto collo, in qualche prodotto-spazzatura di Monte dei Paschi di Siena!

3° paradosso: chi ha avuto interesse a sottoscrivere l’aumento di capitale? A chi è convenuto? Posso capire chi, già azionista, aveva interesse a mantenere invariato il suo peso all’interno del capitale sociale della banca; posso capire chi, già obbligazionista subordinato, aveva interesse a rafforzare patrimonialmente la banca perché altrimenti avrebbe (così come poi accadrà perché hanno solo allungato l’agonia) perso tutto di fronte al default dell’istituto di credito. Ma ciò che non mi spiego riguarda l’attenzione che hanno manifestato quelle piccole fondazioni che oggi non posseggono neppure più una banca di proprietà che, attraverso la sua rete commerciale, avrebbe quantomeno potuto poi avere l’obiettivo di collocare le azioni sul mercato.

Vorrei chiedere loro: “perché lo avete fatto?” Mi potrebbero rispondere: “perché abbiamo rispettato la nostra mission di sostegno al benessere della nostra comunità”. Ed allora mi chiedo: se proprio avessero voluto assolvere alla loro funzione di soggetti filantropici, perché non impegnare quei fondi per risarcire i cittadini della loro comunità che sono stati vittime degli abusi delle banche invece di proteggere un attore protagonista della malafinanza? Ma forse hanno ragione gli psicologi che sostengono che, contrariamente a quanto si pensi, i ragionamenti della mente umana si basano proprio su una logica di tipo paradossale.

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