Con colpevole ritardo mi accorgo di un’ordinanza di estrema importanza emessa dalla Corte di Cassazione l’anno scorso (n. 5022/2021).

La Corte per la prima volta in Italia affronta il tema delle migrazioni ambientali. In particolare si trattava di un cittadino nigeriano che chiedeva venisse riformato il decreto del tribunale con cui gli era stato negato lo status di rifugiato. Il cittadino, appunto di cittadinanza nigeriana, proveniva dalle foci del fiume Niger, dove – egli affermava – che le condizioni di vita erano diventate per lui inaccettabili per via del disastro ambientale causato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del paese, da parte delle compagnie petrolifere.

La decisione, nell’accogliere il ricorso, cita un’altra ordinanza, del Comitato delle Nazioni unite, in cui si afferma che il diritto allo status di rifugiato deve essere riconosciuto anche per motivi di carattere ambientale: “Il degrado ambientale, il cambiamento climatico e lo sviluppo insostenibile costituiscono alcune delle più pressanti e gravi minacce alla capacità delle generazioni presenti e future di godere del diritto alla vita”.

Del resto, all’interno del nostro ordinamento, il diritto all’accoglienza degli immigrati è garantito dall’art. 10 della Costituzione (“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.”), nonché dal D.Lgs. 286/1998 e dal D.Lgs. 251/2007.

La Corte osserva, al riguardo, che la protezione umanitaria, garantita dalla nostra normativa, deve essere riconosciuta dallo Stato nei confronti del cittadino straniero richiedente. Nel caso di lesione del diritto alla vita, inteso in senso allargato, e quindi anche nel caso in cui non vi siano le condizioni per l’accesso alle risorse naturali essenziali, quali la terra coltivabile e l’acqua potabile: “Un contesto socio-ambientale degradato espone l’individuo al rischio di vedere azzerati i diritti fondamentali della vita.”

Da quanto sopra emerge che, dato che la normativa italiana non contempla a chiare lettere tale possibilità di riconoscimento, sarebbe bene che ora il legislatore provvedesse. Ricordo le parole di monsignor Gian Carlo Perego, Fondazione Migrantes: “Su 100 milioni di persone che, in tutto il mondo, nel 2021 hanno lasciato la loro terra per spostarsi altrove la metà lo ha fatto per ragioni ambientali.” E Legambiente a sua volta prevede che entro il 2020 i migranti ambientali potrebbero essere un miliardo.

La Terra è in ebollizione, in tutti i sensi, e la legislazione di ogni Stato dovrebbe essere riformata nel senso dell’accoglienza e della condivisione nei confronti di chi è costretto a fuggire dal proprio paese. Tra l’altro, giova sottolinearlo, per cause dirette o indirette di noi, popoli occidentali.

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