“La parola d’ordine ‘discontinuità’ è assolutamente legittima in una repubblica democratica, ma no a messaggi antiscientifici“. È questo, in sintesi, il messaggio che il professor Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, manda al nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni alla vigilia del primo Consiglio dei Ministri che vede all’ordine del giorno anche alcune misure sulla gestione della pandemia di Covid. “Indubbiamente – sottolinea Cartabellotta – con l’evoluzione delle varianti e la protezione conferita dalla vaccinazione sulle forme gravi, la malattia oggi non è più quella del 2020-2021. Tuttavia, la pandemia è ancora in corso e sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sia il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie, invitano tutti i Paesi ad essere preparati e pronti, visto l’imminente arrivo della variante Cerberus e l’imprevedibilità degli scenari a medio-lungo termine”. “La parola d’ordine ‘discontinuità’ deve essere utilizzata anche per migliorare tutto quello che il Governo precedente non è riuscito a fare – ha incalzato il presidente di Gimbe -. Al momento, invece, la discontinuità sembra ridursi ad uno un mero smantellamento delle misure in atto e ad una vera e propria ‘amnistia’ nell’illusorio tentativo di consegnare la pandemia all’oblio, ignorando le raccomandazioni delle autorità internazionali di sanità pubblica”.

Per questo, nello specifico, la Fondazione ha reso note le proprie valutazioni circa le proposte circolate in questi giorni sulle nuove regole che potrebbero essere varate dal governo. “La proposta di una pubblicazione settimanale” del bollettino Covid-19 “appare ragionevole” alla Fondazione Gimbe, “anche tenendo conto della notevole variabilità giornaliera nella trasmissione e pubblicazione dei dati. Non è chiaro se anche la trasmissione obbligatoria agli organismi internazionali (Oms, Ecdc) avverrà con cadenza settimanale”, ma “in ogni caso – chiosa il presidente Nino Cartabellotta – è fondamentale mantenere l’aggiornamento quotidiano dei dati Covid e della campagna vaccinale, e garantirne accesso trasparente ai ricercatori per analisi e studi indipendenti“.

Per quanto riguarda invece l’abolizione dell’obbligo di mascherine negli ospedali e nelle Rsa, Gimbe sottolinea che “l’utilizzo delle mascherine nelle strutture sanitarie è fondamentale sia per proteggere professionisti e operatori sanitari – evitando di decimare ulteriormente il personale con assenze per malattia – sia soprattutto per tutelare la salute dei pazienti, in particolare quelli anziani e fragili”. “Peraltro, l’idea di abolire l’obbligo nazionale per poi reintrodurlo legittimamente a livello regionale o dei singoli ospedali e Rsa – aggiunge la Fondazione – genererebbe disorientamento dei cittadini, contestazioni rispetto alle disposizioni adottate nelle singole strutture sanitarie e aumento delle tensioni con il personale sanitari”. “Al contrario l’obbligo delle mascherine in ospedale e nelle Rsa – rileva ancora Cartabellotta – dovrebbe essere reso permanente, indipendentemente dalla pandemia in corso, al fine di proteggere al meglio le persone più vulnerabili da infezioni respiratorie di qualsiasi natura. E l’utilizzo di questo dispositivo, come indicato dalle autorità internazionali di sanità pubblica, è raccomandato in tutti gli ambienti al chiuso affollati e/o poco aerati”.

Tra le ipotesi al vaglio del Governo sulla strategia per affrontare la pandemia di Covid, c’è poi anche lo stop all’obbligo vaccinale per il personale sanitario e il reintegro dal 1° novembre dei sanitari no-vax sospesi: “Il potenziale impatto in termini di sanità pubblica sarebbe modesto – spiega la Fondazione – sia perché la misura viene anticipata di soli due mesi rispetto alla scadenza fissata, sia perché riguarda un numero esiguo di professionisti”. “Ben diverso – rileva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – l’impatto in termini di percezione pubblica di questa ‘sanatoria’ e delle relazioni con la stragrande maggioranza dei colleghi che si sono vaccinati per tutelare la salute dei pazienti e la propria, anche al fine di garantire la continuità di servizio. Peraltro, al di là di una scelta individuale incompatibile con l’esercizio di una professione sanitaria, si tratta di persone che hanno spesso seminato disinformazione pubblica sui vaccini, elevandosi a ‘paladini’ del popolo no-vax, a volte con evidenti obiettivi di affermazione politica individuale”. “Se da un lato il loro reintegro lancia un messaggio profondamente antiscientifico – sottolinea la Fondazione – va ricordato che a livello locale possono essere stabilite disposizioni per affidare ai professionisti no-vax reintegrati attività diverse da quelle clinico-assistenziali, senza configurare demansionamento”. Infine, Cartabellotta bolla come “irrilevante dal punto di vista sanitario” lo stop alle multe per i no-vax over 50 che non hanno ottemperato all’obbligo vaccinale (proposta non all’ordine del giorno del CdM di oggi, ma comunque circolata nei giorni scorsi), definendo l’ipotesi “antiscientifica e fortemente diseducativa, visto che estende la ‘cultura della sanatoria’ anche alle disposizioni che hanno l’obiettivo di tutelare la salute pubblica”.

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