L’aggressione verbale che ha subito la collega giornalista Francesca Lagoteta, nei giorni scorsi a Cetraro, oltre ad essere davvero inconcepibile ed assurda per le futili motivazioni che l’hanno suscitata, ha fatto emergere ancora una volta uno dei mali endemici di questa nostra terra di Calabria: l’omertà.

Una scena da borgata d’altri tempi, con tanto di insulti e minacce in stretto dialetto cetrarese che una giovane signora più o meno sua coetanea le rivolgeva dall’alto del terrazzo di Piazza del Popolo a Cetraro Paese. Luogo che offre a tutti coloro che apprezzano la bellezza uno sguardo su un lembo di costa davvero suggestivo ed in questo periodo incantevoli tramonti. D’altronde, la bellezza non sono in molti ad apprezzarla, specie coloro che si lasciano rosicchiare l’anima dal livore di sentirsi “inferiori” o forse meno “belle e famose”, che scaricano la loro rabbia repressa esplosa il giorno dopo la festa di compleanno della figlia della giornalista, celebrata durante un raduno dell’oratorio parrocchiale.

Domenica 16 ottobre la piccola Ginevra ha festeggiato i suoi otto anni con le sue amiche di sempre in un tavolo a parte rispetto al resto del gruppo. Anche se al momento della torta e dei dolci sono stati invitati tutti a partecipare, l’esclusione della figlia della signora “urlatrice”, non solo non era stata affatto digerita ma aveva acceso il fuoco del livore che non poteva più essere contenuto. Il giorno dopo, Francesca e sua figlia, appena uscite dall’Ufficio Postale adiacente alla casa della nonna della piccola, si sono sentite rivolgere dall’alto della Piazza terribili insulti e minacce: “Ti tagliu a capu” “ti scannu cumi nu capriattu” e molto altro, parole che hanno provocato tanta paura alla piccola, che dopo diversi giorni ancora è scioccata per il timore che potessero fare del male alla madre.

Francesca si è rivolta immediatamente ai carabinieri della locale stazione, prontamente intervenuti sul posto, nel frattempo, però, la protagonista della sceneggiata, dopo aver dato sfogo alla sua rabbia, ha cercato rifugio e conforto nel suo clan di “cercopitechi”. Tutti personaggi ben noti alle Forze dell’Ordine ed alla Magistratura. Ovviamente, la collega ha sporto denuncia dell’accaduto indicando i testimoni presenti i quali, sentiti dai carabinieri, more solito, non hanno visto e udito nulla.

L’omertà è un atteggiamento tra i più ripugnanti in assoluto. Grazie ad essa si è impedito tante, troppe, volte che la giustizia facesse il suo corso, che la stragrande maggioranza dei familiari delle vittime innocenti venissero soddisfatti delle loro legittime pretese di verità e di giustizia. Fingere di non vedere e non sentire nulla, decidere consapevolmente di non parlare, significa tradire la propria e l’altrui dignità di cittadini liberi e responsabili. Significa rinnegare la propria e l’altrui coscienza, essere complici del male visto e non denunciato, avere la stessa ed identica responsabilità morale di chi quel determinato male compie.

Ecco perché Peppino Impastato ripeteva spesso che bisogna “insegnare la bellezza alla gente per fornirla di una arma contro la rassegnazione la paura l’omertà”. Insegnare la bellezza non è semplice anche perché c’è scarsità di docenti.

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