Marina Calderone è ministro del Lavoro. La ex presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro era tra i profili tecnici papabili per il governo Meloni. Eppure la politica l’ha frequentata parecchio e in modo trasversale, dal M5s ai tempi del primo governo Conte fino alle feste di Atreju, la compagine giovanile di Fratelli d’Italia. Di più, in casa non è l’unica a vantare il titolo di presidente. Il marito Rosario De Luca presiede il cda della Fondazione studi del Consiglio nazionale consulenti del lavoro. Nella rivista dell’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro, marito e moglie sono “i presidenti nazionali“, come dice la didascalia di una foto che li ritrae. Insieme sono da vent’anni ai vertici di quella che la Calderone ha definito “una lobby culturale, di lavoratori”. Di certo, una realtà molto corteggiata dai partiti. Con il governo di Matteo Renzi e Angelino Alfano agli Interni, Calderone entrerà nel cda di Leonardo per restarci fino al 2020, mentre già un anno prima è in corsa per la presidenza dell’Inps con l’appoggio di M5s e Lega. Alla fine a spuntarla sarà Pasquale Tridico, ancora oggi in carica. Ma, sempre in quota M5s, una delle quattro poltrone nel cda dell’ente previdenziale va al marito Rosario, anche lui attualmente in carica. E siccome l’Inps “è un ente pubblico sottoposto a vigilanza da parte del Ministero del Lavoro, Marina Calderone vigilerà sull’attività del marito”, scrive l’Unione sindacale di base (Usb) del Pubblico impiego. Per la ministra chiamata a riformare il Reddito di cittadinanza, non proprio un dettaglio.

Classe 1965, sarda, Marina Elvira Calderone ha una laurea in Economia aziendale internazionale ed è consulente del lavoro dal 1994. Insieme al marito, l’avvocato calabrese Rosario De Luca, gestisce anche una società tra professionisti che fa consulenza del lavoro, la Calderone&DeLuca STP Srl, con sedi a Roma, Cagliari e Reggio Calabria. Nel 2004 diventa presidente del Consiglio nazionale di un ordine che conta più di 25 mila professionisti e amministra più di un milione di aziende, dove oltre alla consulenza giuslavoristica compilano le buste paga e forniscono indicazioni su ammortizzatori sociali e obblighi previdenziali. Anche grazie al Festival del lavoro, il raduno annuale dell’Ordine, Calderone fa guadagnare visibilità e considerazione alla loro categoria. E importanti risultati. Nel 2018 Giuseppe Conte annuncia dal palco la norma che permetterà ai consulenti del lavoro di svolgere il ruolo di commissario giudiziale e commissario liquidatore nella procedura di crisi d’impresa. Una scelta portata avanti nonostante il parere negativo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia sulle competenze necessarie a svolgere il compito. Ma quell’anno l’ospite d’onore è soprattutto il neo ministro del Lavoro Luigi Di Maio, già presente in altre edizioni. A lui Calderone chiede “di ascoltarci prima di fare le norme”. Perché, dice, “fare lobby sul lavoro e sulla conoscenza non credo sia un elemento negativo”. Poi, per l’intervista al ministro la palla passa al marito, l’avvocato De Luca. Ma per le conclusioni il palco è di nuovo della presidente. Che a Di Maio chiede “di esercitare sul nostro ordine una vigilanza invasiva“.

Peccato che la funzione di vigilanza sul Consiglio nazionale dell’Ordine non cadrà lontano dall’albero. Anzi, sullo stesso palco è Rosario De Luca a fare gli auguri al collega Pasquale Staropoli, appena nominato vicecapo di gabinetto al ministero del Lavoro di Di Maio. Staropoli era responsabile per l’organizzazione dell’attività didattica della Fondazione studi del Consiglio nazionale consulenti del lavoro presieduta da De Luca. A Staropoli il ministero attribuirà le competenze sull’attuazione e l’aggiornamento della disciplina per lo svolgimento della professione di consulente del lavoro e, come già detto, la vigilanza sul Consiglio dell’Ordine. Ma anche in questo caso non ci sarà alcun passo indietro. Come del resto sulla nomina di De Luca nel cda dell’Inps, per la quale l’Associazione nazionale dei commercialisti parlò di scelta che mette a rischio “l’imparzialità dell’istituto previdenziale” e di “conflitto d’interessi“. Allo stesso tempo, alcune sigle sindacali domandarono al Movimento quale fosse la coerenza tra un presidente come Tridico, che prometteva di riportare nell’ente le attività prima esternalizzate, e l’insistenza “per far entrare in Inps uno dei massimi esponenti della lobby dei consulenti“, scrisse l’Usb. Che si è detta per la possibilità che a vigilare sul consigliere d’amministrazione De Luca sia la moglie Marina Calderone. “Non sappiamo se giuridicamente si possa parlare di conflitto d’interesse ma riteniamo evidentemente inopportuna la contemporaneità dei due incarichi”, l’Usb nel comunicato.

Intanto, tra una nomina e l’altra – Calderone diventa anche presidente del Cup, il comitato unitario delle professioni e portavoce per gli Ordini e le professioni regolamentate – si moltiplica l’attenzione di politica e media. Anche riguardo a quello che sarà con tutta probabilità il primo dossier che la ministra dovrà affrontare: il Reddito di cittadinanza. Ma se per la futura premier il Rdc è “metadone di Stato“, come lo definiva un anno fa, i “presidenti nazionali” dei consulenti del lavoro hanno sempre avuto un approccio più laico. Niente che si debba cancellare, anzi. Secondo Calderone e De Luca il sussidio va mantenuto “anche per chi è in grado di cercarsi un lavoro”. Piuttosto “bisogna investire sulle politiche attive con il coinvolgimento dei privati“, diceva il marito esattamente un anno fa. Mentre già prima che Mario Draghi rendesse più stringenti le condizioni per beneficiare del Rdc riducendo da tre a due le offerte di lavoro irrifiutabili, la moglie proponeva di ridurle a una soltanto. E poi, diceva, “si potrebbe pensare ad un meccanismo che porti ad un maggiore coinvolgimento di aziende e associazioni di rappresentanza: senza di loro il matching tra domanda e offerta di lavoro è impensabile”. Difficile dire se si prenderà la responsabilità di cancellare una misura di contrasto alla povertà in tempi di crisi. Più facile aspettarsi che le condizionalità per i beneficiari diventino ancora più stringenti e che i soldi per riattivare chi necessita di formazione e reinserimento nel mondo del lavoro vadano più decisamente in direzione dei privati. Del resto, lo dice il marito: “C’è poco da girarci attorno”.

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