Domanda: Ma lei professor Sharpless, che cosa ha scoperto esattamente? Un nuovo farmaco, una nuova cura o che cosa?
Risposta: “perché la mano destra è diversa dalla sinistra, perché la chitalità, la rotazione…”.
Domanda: “Ehhhh….Indubbiamente professor Sharpless, ma se dovesse spiegarci perché in questa giornata di ottobre 2001 le hanno appena conferito il Nobel per la Chimica, potrebbe illustrarci in parole semplici…” e via un’altra risposta ancora più confusa.

Io c’ero. Ero seduto in prima fila con il mio camice azzurro nell’auditorio di Scripps Reseach Center a La Jolla, California, uno dei più prestigiosi centri di ricerca americani dove lavoravo, e sorridevo. Quella mattina, poche ore dopo l’annuncio del primo premio Nobel a Sharpless si stava recitando il dramma dell’incomunicabilità della scienza. Decine di giornalisti accorsi per ascoltare lui, Barry Sharpless, senza che una singola domanda fosse stata data una risposta con una frase che avesse un minimo di senso compiuto.

“E adesso che cosa racconto? Non ho capito nulla?”. Questo dicevano le facce sempre più terrorizzate dei giornalisti. Io sapevo benissimo perché Sharpless aveva ottenuto il Nobel: la catalisi asimmetrica aveva rivoluzionato la sintesi chimica e in quello Sharpless fu davvero un pioniere. È stato il mio campo di ricerca per venti anni, anche se mi sono occupato della catalisi asimmetrica senza metalli, un’area che ha ricevuto il premio Nobel nel 2021. Ne ho parlato qui.

Per noi che lavoravamo in laboratorio non servivano le spiegazioni di Sharpless. Bastava la sua ricetta per la di-idrossilazione asimmetrica. Si seguiva, si mischiare tutto, e “puuf”, tutto apposto, a differenza di tante altre reazioni che sulla carta erano fantastiche ma che invece non erano affatto riproducibili. Ecco da dove derivava la fama e il rispetto dei chimici per Sharpless: le cose che aveva descritto funzionavano davvero, non erano semplici elucubrazioni.

Avrei voluto aiutare i giornalisti, perché era fin troppo noto a tutti noi addetti ai lavori che tanto Sharpless era geniale, tanto era incomprensibile quello che stava dicendo a chi non era familiare con quella chimica. Ma poi arrivò l’illuminazione. Lei, una brunetta sulla quarantina che era il top assoluto nel suo lavoro. “Professor Sharpless, che farà con il premio di mezzo milione dollari”? Eccolo, il colpo di genio. “Beh penso che li useremo per il nostro ultimo progetto, è davvero costoso lo sa!” E la brunetta che aveva appena aperto una porta dimensionale tra due mondi paralleli non si fece scappare questa nuova e unica occasione. “Ma che ne pensa sua moglie!”, di nuovo l’unica domanda giusta in quella contesto. “Quando tanti anni fa ero un giovane professore al Mit, il mio stipendio annuo era di 12.000 dollari. Ne spesi 9.000 per dei libri. Mia moglie era in effetti perplessa ma le dissi – ‘Cara, non ti preoccupare, questo è un investimento!’- e da allora non mi ha chiesto più nulla”.

Questa è la storia del primo Nobel di Sharpless e della conferenza stampa più pazza del mondo. Che si teneva solo negli Stati Uniti feriti un mese prima dall’attentato alle torri gemelle. E quella grande apertura verso il nuovo, quella fucina di idee che era stato il motore di quel grande Paese stava purtroppo per cambiare. Quando Sharpless ha ricevuto il primo Nobel aveva già abbandonato quel campo di ricerca. Il mezzo milione del Nobel 2001 non portò a nulla di così importante, ma in parallelo stava lavorando a una reazione già nota e semplicissima sviluppata negli anni 60 dal chimico tedesco Rolf Huisgen. Che se fosse stato ancora vivo (è mancato nel 2020 a 99 anni) avrebbe meritato anche lui il Nobel 2022.

Metti un gruppo funzionale alchino da una molecola. Metti un’azide su un’altra. Non succede nulla. Ma basta qualche traccia di rame, anche solo un filo nell’ambiente di reazione e click! I due pezzi si uniscono. In pratica si può attaccare qualsiasi coppia di molecole grandi a piacere. Questo tipo di reazione funziona praticamente ovunque e permette di unire qualsiasi cosa, dalle proteine ai frammenti di Dna. A Morten P. Meldal, l’altro vincitore del Nobel 2022, va il merito di aver scoperto in modo indipendente l’importanza del rame per catalizzare questa reazione. La razione originale di Huisgen avveniva solo ad alte temperature: nella versione originale non si sarebbe mai potuta applicare alle delicatissime molecole biologiche. Con il rame cambiava tutto.

Qualcuno pensava che Sharpless dopo una brillante carriera fosse impazzito mettendosi a fare cose inutili. Questo era quello che pensava metà dei miei colleghi del laboratorio del piano di sopra, quello di KC Nicolaou. Ma la ricerca della semplicità non era follia. La reazione che stava sviluppando è la prima della “click chemistry”, è una filosofia di ricerca. Facciamo reazioni semplici e efficienti, inutile cercare quelle in cui basta un minimo errore per rovinare tutto.

Non bisogna mai smettere di esplorare strade nuove. Perché lo scopo iniziale del premio Nobel era proprio questo: finanziare le ricerche future piuttosto che essere un premio alla carriera. Per questo non può essere conferito postumo. E lo scopo della ricerca non è fermarsi e godersi la vita tra conferenze strapagate in giro per il mondo, ma di provare sempre cose nuove, che nella stragrande maggioranza dei casi non porteranno a nulla, ma quando un semino cadrà nel posto giusto farà crescere un albero che produrrà un numero enorme di altri semini.

Sicuramente l’altra vincitrice del Nobel 2022, Carolyn R. Bertozzi (e tanti altri ricercatori), hanno il merito enorme di aver applicato ai sistemi più svariati la reazione riscoperta da Sharpless e Medal, ma voglio pensare che senza la lucida visone e follia di Sharpless la click chemistry sarebbe rimasta una curiosità e basta. “Prendendo solo sei atomi, carbonio idrogeno, ossigeno, fosforo, zolfo, azoto e rispettando le regole base della chimica, potreste preparare un numero di 10 seguito da 60 zeri di molecole con peso molecolare sotto 400 Dalton. Per confronto, l’età dell’universo espressa in secondi è dell’ordine di 10 seguito da solo 17 zeri. Perché volete davvero fare proprio quelle molecole che sono difficili da sintetizzare?”.

Voglio pensare che in un mondo accademico ove si pretende di misurare l’immisurabile, contando le pubblicazioni e citazioni un tanto al chilo e inventando indici dei quali i ricercatori veri non hanno bisogno, un “Nobel alla follia”, alla curiosità, alla voglia di esplorare sempre strade nuove possa essere un faro per illuminare la via di quelle ragazze e quei ragazzi che si accingono a intraprendere il mestiere della ricerca. Non serve essere ossessionati dal “produrre”. Per dare un contributo utile alla scienza basta un’idea semplice ma che funzioni davvero. Una che si realizza con un “click!”.

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