Non c’è ventidue senza ventitré. Sì, la rimodulazione del detto popolare calza bene per Manfred Binz, il ventitreesimo libero bruciato dalla nazionale tedesca dopo Beckenbauer. Da Stielke, a Jakobs ad Augenthaler a Herget tra gli altri. E poi Binz. Non che il ventitreesimo tentativo sia andato granché bene a dir la verità. Manfred, detto Manni, nasce a Francoforte e lì si forma: all’Eintracht ovviamente, a un anno dall’esordio diventa leader della difesa. Fisico imponente, piedi buoni e carattere decisamente teutonico: da quando Dietrich Weise lo piazza al centro della difesa non si muove più, letteralmente, giocando 246 partite consecutive. Nella storia della Bundesliga solo Heinz Simmet e Sepp Maier hanno fatto meglio di Manfred.

Costanza e buone partite che gli valgono la nazionale tedesca, ma solo dopo i mondiali 90. Berti Vogts punta su di lui per gli Europei del 1992, ma se nelle qualificazioni Manfred si mostra affidabile, altrettanto non avviene durante la manifestazione ufficiale: nelle prime due gare contro Csi e Scozia ottiene la sufficienza, ma contro l’Olanda di Van Basten e Gullit è disastroso e viene sostituito dopo un primo tempo horror. Dopo quella gara non sarà più convocato in una nazionale che pure è in fase calante.

Tornerà nella sua comfort zone di Francoforte: nella sua città, nella club che lo ha allevato e sfiora la vittoria della Bundesliga in una squadra piena di talento, ma poi qualcosa si rompe: arriva Toppmoller e Binz, che di rado porta fuori dallo spogliatoio i problemi (“Non voglio essere un eroe, ma solo un professionista” è il suo motto) scoppia in conferenza stampa criticandone i metodi, e così si interrompe la serie di 246 partite consecutive…con tre tribune una dopo l’altra. Toppmoller va via e Binz resta, fosse per lui a vita, ma l’Eintracht nel 1996 retrocede e deve far cassa: per Manni ci sarebbe il Marsiglia, addirittura si interessa l’Inter, ad accaparrarselo però alla fine è il Brescia di Corioni, all’epoca in Serie B e con Stefano Bonometti da rimpiazzare.

Edy Reja apprezza il professionismo di quel giocatore, ormai 32enne, facendone una colonna della difesa: Manfred diventa un leader e con 4 gol (uno di questi fondamentale per la promozione all’ultima giornata contro il Venezia) e prestazioni sontuose in difesa contribuisce non poco alla risalita delle Rondinelle in Serie A, tanto da essere definito miglior giocatore straniero del campionato di B del 1996/97.

In Serie A però le cose cambiano: Reja viene esonerato dopo una sola giornata, e con Materazzi Manfred non trova più spazio. Certo, l’esperienza è comunque positiva: nel Brescia scalpita un giovincello, all’epoca considerato trequartista, che si allena spesso assieme a Manni a tirare le punizioni, si chiama Andrea Pirlo. “Mi piace pensare abbia imparato qualcosa anche da me: aveva già una tecnica pazzesca allora, ma poi è diventato un top player”, ha dichiarato qualche anno fa in una intervista.

Ma dopo otto presenze Manni capisce che nonostante sia diventato uno dei beniamini della tifoseria e Brescia gli piaccia molto non c’è spazio per lui: d’altronde pare che il suo amore per l’Italia non sia del tutto condiviso a livello familiare e dunque quando il Borussia Dortmund campione d’Europa con Nevio Scala in panchina cerca un libero, non ci pensa due volte e accetta l’offerta. Ma anche qui è chiuso: ci sono Kohler, Sammer, Julio Cesar. Manni diventa una riserva.

A quel punto accetta di scendere di categoria pur di giocare e finisce al Kickers Offenbach, gioca per tre stagioni prima di tornare nella squadra riserve del suo Eintracht, giocando otto partite per poi ritirarsi. Nel concorso per “Il Brescia dei Sogni” si è classificato quarto per l’assegnazione della maglia numero 6, dietro Bonometti, primo di gran lunga, e a poca distanza da Filippo Galli e Gigi Di Biagio. Ieri ha compiuto 57 anni: non da eroe certo, ma da professionista esemplare.

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