Il summit della SCO che si è chiuso venerdì a Samarcanda, in Uzbekistan, era stato presentato come un possibile palcoscenico per la riaffermazione dello stretto rapporto tra Cina e Russia e la rottura dell’isolamento internazionale di quest’ultima. In realtà, tra le righe è emerso esattamente il contrario. Il tanto atteso incontro bilaterale tra il leader russo Vladimir Putin e quello cinese Xi Jinping è avvenuto, ma la dichiarazione che è balzata più all’occhio è stata quella dell’inquilino del Cremlino, che ha affermato di comprendere le preoccupazioni di Pechino circa l’invasione dell’Ucraina da parte russa. Un passaggio che lascia immaginare come dietro le quinte la Repubblica Popolare sia particolarmente scontenta dell’instabilità globale causata dal prolungarsi dell’avventura militare russa sul territorio ucraino e che abbia fatto filtrare questa insofferenza. È evidente quindi che da parte cinese non arriverà nessun supporto a Mosca sul fronte militare o su quello di una possibile rottura del fronte delle sanzioni, lasciando la relazione tra i due giganti nel novero dei rapporti commerciali, specificatamente nella dimensione dell’energia.

Al di là della distanza su questo punto e allargando lo sguardo agli equilibri geopolitici globali, la visita di Xi Jinping in Asia Centrale ha reso però sempre più chiara la volontà cinese di affermarsi come Paese leader nella regione, senza più remore nei confronti del ruolo russo nell’area. Se infatti nello spazio centro asiatico si era affermata negli ultimi anni una sorta di “divisione del lavoro” tra Russia e Cina, con la prima partner politico e militare di primo piano e la seconda partner economico e commerciale prevalente per le repubbliche regionali, di recente questo equilibrio sembra essere stato modificato. A tutto vantaggio della Cina. Arrivato in Kazakistan in visita ufficiale prima del vertice SCO, primo viaggio all’estero dallo scoppio della pandemia, Xi Jinping ha dichiarato la volontà cinese di supportare il governo di Tokayev nella difesa dell’integrità territoriale kazaca. Un’integrità che solo un Paese potrebbe avere la forza – sull’interesse c’è meno certezza – di mettere a rischio: proprio la Russia. Come a dire, stiamo pagando cara la destabilizzazione causata dalla situazione ucraina, ma non accetteremo altre fughe in avanti in un territorio così strategico. Una vera e propria dichiarazione d’intenti. In Asia Centrale, infatti, la Cina ha investito decine e decine di miliardi di dollari negli ultimi anni, investimenti legati soprattutto ai suoi grandiosi progetti infrastrutturali targati Nuove Vie della Seta, iniziativa lanciata nel 2013 proprio dal Kazakistan.

Una volta arrivato in Uzbekistan, il leader cinese ha poi avuto altri numerosi incontri bilaterali, con un susseguirsi di annunci che hanno rafforzato l’idea di un’agenda ben precisa per l’area. Prima sono stati firmati accordi commerciali con l’Uzbekistan per un valore complessivo di 15 miliardi di dollari. In seguito, è stato sottoscritto un accordo tra Cina, Kirghizistan e Uzbekistan per la realizzazione di uno studio di fattibilità della sezione kirghisa della ferrovia che, collegando i tre Paesi, consentirà alle merci cinesi di raggiungere il mercato europeo in maniera più rapida e bypassando il territorio russo. È un progetto di cui si parla da tempo, ma sicuramente il fatto che l’intesa sia stata siglata proprio a margine di un vertice così delicato assume un significato particolare.

C’è da dire che la spinta verso un ruolo crescente della Cina nella regione non viene solo da parte di Pechino, ma anche da parte di alcune capitali regionali. Su tutte, quella kazaca e quella uzbeca. Mentre il Tagikistan, il Kirghizistan e il Turkmenistan non hanno la volontà né la forza di affrancarsi da Mosca – per quanto in Tagikistan Pechino abbia inaugurato un avamposto militare sul confine con l’Afghanistan – i due giganti regionali guardano con crescente timore all’imprevedibilità della Russia e vedono nel declino del suo ruolo internazionale un’occasione per mettere in campo un’agenda più autonoma rispetto al passato. Il partner cinese, ai loro occhi, probabilmente rappresenta il giusto mix di autoritarismo, attenzione alla sfera economica e accento sull’integrità territoriale. Premesse considerate necessarie per poter approfondire la relazione. Vi è da dire che il leader uzbeco Mirziyoyev dalla sua salita al potere ha sottolineato la necessità di una maggiore integrazione regionale tra le cinque repubbliche centro asiatiche a prescindere dai partner esterni. Un fattore di cui Xi Jinping dovrà tenere conto, anche alla luce del risentimento che l’influenza cinese ha in passato generato in Asia Centrale tra alcune fasce della popolazione.

D’altro canto bisogna notare che quello avvenuto nell’area centro asiatica è un sorpasso, più che un vero e proprio spodestamento. La Russia rimane infatti sotto molti punti di vista un partner imprescindibile per gli attori regionali. Due esempi su tutti: nonostante gli sforzi per modificare questa situazione, l’80% del petrolio esportato dal Kazakistan passa per il terminale russo di Novorossiysk; su un altro fronte, Tagikistan e Kirghizistan dipendono per circa il 30% del proprio Pil dalle rimesse che i lavoratori migranti inviano annualmente in patria spostandosi prevalentemente in Russia. Si tratta di fattori strutturali che difficilmente potranno essere modificati nel breve periodo.

È comunque innegabile che la guerra in Ucraina ha rappresentato uno spartiacque per la proiezione internazionale russa e l’Asia Centrale un banco di prova per quest’ultima e per il rapporto tra Mosca e Pechino. Se l’invasione del territorio ucraino ha convinto l’Unione Europea sulla necessità di affrancarsi dal gas russo, allo stesso tempo ha reso evidente perlomeno a Kazakistan e Uzbekistan l’impossibilità di continuare a considerare la Russia un partner politico affidabile. A tutto vantaggio della Cina.

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