Bill Russell è morto. L’ex pilastro dei Boston Celtics è deceduto con accanto la moglie Jeannine, aveva 88 anni. A dare la notizia è stato proprio la consorte. Russell ha scritto pagine importanti della storia Nba vincendo 11 anelli e diventando una delle figure di riferimento degli Anni Sessanta negli Usa. Inoltre, al di fuori della carriera sportiva si è sempre impegnato a livello sociale per i diritti civili, anche se non amava mostrarsi in pubblico.

Russell nasce in Louisiana il 12 febbraio 1934. Entra in Nba con la seconds chiamata al Draft nel 1956: viene ingaggiato da Saint Louis che, però, subito lo cede ai Boston Celtics. In quel momento inizia la striscia di titoli più lunga della storia del massimo campionato americano. Proprio nel 1956 i Celtics vincono per la prima volta l’Nba: sarà il primo di undici successi per Russell, che si ritirerà nel 1969 dopo 963 partite a 15,1 punti e 22,5 rimbalzi di media. Poco dopo diventa il primo allenatore afroamericano nella storia dello sport Usa. Durante l’attività agonistica ha conquistato anche cinque premi per il miglior giocatore della stagione Nba, il primo nel 1958 dopo solo due anni. Tra i suoi allori ci sono anche l’oro olimpico ai Giochi di Melbourne 1956 cui vanno aggiunte dodici chiamate all’All Star Game e undici inserimenti nel miglior quintetto Nba. A lui è anche dedicato uno dei premi attualmente più pregiati: l’Mvp Finals.

Russell nel corso della sua vita ha anche combattuto per i diritti degli afroamericani, diventando una delle persone più influenti sul tema. “Per quanto abbia vinto, la comprensione della lotta è quello che ha veramente illuminato la sua vita – si legge nel messaggio d’addio diffuso dalla famiglia -. Dal boicottaggio di una partita di esibizione nel 1961 all’aver smascherato una discriminazione troppo a lungo tollerata, dall’aver condotto il primo camp di basket integrato nel Mississippi incendiato dall’omicidio di Medgar Evers, a decenni di attivismo riconosciuti con la medaglia al valore del 2010, Bill ha sempre combattuto le ingiustizie con un candore che sapeva avrebbe distrutto lo status quo, e dando un esempio così potente dall’aver ispirato, anche se non è mai stata la sua intenzione, spirito di squadra, altruismo e spirito di cambiamento”.

Russell fu presente anche alla Marcia su Washington, momento cruciale della storia americana in cui Martin Luther King pronunciò il celebre discorso “I have a dream”. L’ex Boston Celtics rifiutò l’invito di King a salire sul palco e 50 anni dopo raccontò: “Quell’evento era il culmine di anni di preparazione, di lavoro di squadra per arrivare a quel momento. Non pensavo sarebbe stato rispettoso da parte mia approfittarne e salire sul palco”. Russell aveva una missione che usciva dai confini dello sport: “A Bill importava molto più che dello sport – ha ricordato il commissioner Adam Silver – ha impresso nella nostra lega i valori di uguaglianza, rispetto e inclusione di cui era testimone. All’apice della sua carriera, Bill ha vigorosamente fatto sentire la sua voce a favore di diritti civili e giustizia sociale, eredità che ha passato alle generazioni di giocatori Nba che hanno seguito le sue orme. Attraverso difficoltà, minacce e avversità incredibili, Bill ha sempre tenuto fede alla sua idea che tutti meritano di essere trattati con dignità”.

Articolo Precedente

Fernando Alonso correrà con l’Aston Martin nel 2023. A 41 anni lo spagnolo dice: “Voglio vincere ancora”

next