Non c’è spettacolo più maestoso di una stella che si spegne. È qualcosa che racconta dell’inarrestabilità del tempo, che rende più buio l’intero firmamento. Un concetto che spiega piuttosto bene l’attuale situazione di Cristiano Ronaldo, il greatest of all time che ora rischia di ritrovarsi prigioniero di se stesso. Il portoghese ha fatto capire di voler lasciare il Manchester United nello stesso modo in cui ha lasciato la Juventus. Ossia con disappunto. Il problema è che la sua nuova destinazione è ancora incerta. La domanda che circola con insistenza è sempre la stessa: chi può permettersi Cristiano Ronaldo? È un interrogativo che viene spesso frainteso. Perché la prima risposta riguarda sempre il lato economico. Il portoghese ha 37 anni (ne compirà 38 a febbraio) e uno stipendio da più di 20 milioni di euro. Netti. I club che possono garantirgli le stesse cifre si contano sulle dita di una mano. Eppure l’asta non sembra nemmeno essere partita. Colpa di un periodo storico dove anche le squadre più opulente faticano a rinnovare i contratti dei loro giocatori migliori, dovendosi arrendere all’idea (in qualche caso) di perderli a zero.

Per questo la domanda necessita di essere disambiguata. Perché l’acquisto di Cristiano Ronaldo deve essere valutato soprattutto sotto il profilo della sua sostenibilità tecnica. È un’idea che sembra una bestemmia urlata in una cattedrale, ma che invece racchiude l’intera questione. Le sue ultime parentesi con Juventus e Manchester United hanno confermato che innestare il miglior calciatore del mondo su una squadra già molto forte non rappresenta alcuna garanzia di trionfo. Certo, aiuta, anche molto, ma il calcio è il regno dell’alea, dell’episodio, della papera, dell’errore surreale che può divenire determinante. Soprattutto a grandi livelli. Nell’ultima Premier League Cristiano Ronaldo ha realizzato 18 gol. È un dato interessante. Nessuno del Manchester United ha segnato come il portoghese. Eppure erano 13 anni che Cristiano non andava a rete così poco (nel 2008/2009 ha segnato 18 centri in campionato proprio con i Red Devils). E ancora: con Ronaldo in squadra lo United ha segnato 57 gol in campionato. Era dal 2017 che non raccoglieva così pochi palloni nel sacco avversario (allora furono 54, poi salirono a 68 per iniziare a oscillare: 63, 65, 73).

Difficilmente il capocannoniere di una squadra può esserne il problema, ma il modo in cui gioca per metterlo nelle migliori condizioni di segnare sì. Lo ha capito il Chelsea campione d’Europa, che ha deciso di spendere 115 milioni di euro per trovare il finalizzatore dei suoi sogni e poi si scoperto a disagio con un accentratore della manovra come Lukaku. Ronaldo invece è un tiranno. È l’asso che adombra tutti gli altri, la calamita che attrae tutte le attenzioni, il velo che nasconde gli altri. Una suggestione che si trasforma in dato osservando le parabole di Dybala e Benzema. Nei giorni scorsi Barney Ronay ha scritto sul Guardian: “L’ingaggio dell’attaccante del Manchester United impedirà a qualsiasi club di giocare come una squadra tatticamente moderna e fisicamente completa”. È un giudizio pesante, ma che secondo il giornalista affonda le proprie radici in un precedente. Il rapporto fra Rangnick, uno “abbastanza” legato alle proprie idee di gioco, e Ronaldo è stato turbolento.

A gennaio il portoghese aveva protestato vistosamente per essere stato sostituito con lo United in vantaggio per 2-0 sul Brantford. Il tecnico voleva coprirsi per evitare il pericolo rimonta (dopo quella incassata quattro giorni prima in casa dell’Aston Villa), l’attaccante voleva restare in campo per migliorare la propria posizione nella classifica cannonieri. Neanche un mese dopo lo scontro si era ripetuto. Durante un colloquio Ronaldo aveva detto a Rangnick di non trovarsi a proprio agio in uno stile di gioco che richiedeva uno sfiancante pressing offensivo. E poi aveva “suggerito” all’allenatore di cambiare schema, passando al 4-4-2 in modo da avere un compagno con cui dialogare e non ricoprire il ruolo di unica punta. Ronaldo è ancora il cannoniere più letale in circolazione e un suo acquisto rende più probabile la vittoria di un trofeo importante. Il rischio che si corre, però, è quello di mettere in pausa lo sviluppo di chi gli sta intorno. In Inghilterra hanno scritto che “Cristiano è la cura ai problemi che lui stesso genera”. Forse è esagerato, ma resta il fatto che ormai il portoghese è una multinazionale, un’entità più grande dei suoi stessi club. E inserirlo in una rosa significa puntare tutto su di lui più che su un sistema. È un rischio che può valer la pena correre. A patto che si conosca già in partenza il prezzo.

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