Con l’eventuale stop alle forniture di gas russo, la Germania rischia una grave recessione. A Berlino sono giorni delicati, soprattutto per la questione del Nord Stream 1: la Russia ha ridotto il flusso del gasdotto che attraversa il Mar Baltico, adducendo come giustificazione dei problemi tecnici. Le turbine incriminate al momento si trovano nelle officine del gruppo tedesco Siemens in Canada. La Germania le rivuole indietro per restituirle alla Russia e alleviare così le conseguenze delle sanzioni, mentre Kiev ha chiesto al Canada a restituire le turbine della Gazprom all’Ucraina, esortando Berlino a “non cedere al ricatto del Cremlino“. Nel frattempo, però, lunedì il gasdotto sarà chiuso del tutto per una manutenzione ordinaria, già prevista da tempo. In questo contesto arriva l’allarme dell’associazione delle Camere di Commercio e Industria Tedesche (Dihk): in caso di uno stop del gas russo totale, il calo della produzione economica potrebbe essere di almeno il 10% con l’arrivo dell’inverno, ha sottolineato il presidente del Dihk Peter Adrian, il quale sostiene che il governo deve revocare le restrizioni in modo che le aziende possano creare più rapidamente alternative all’energia a gas.

I timori tedeschi – La Germania è in attesa di vedere cosa accadrà lunedì, quando il colosso russo Gazprom chiuderà il gasdotto Nord Stream 1 per la manutenzione annuale di routine. Gazprom ha già appunto notevolmente ridotto il flusso di gas attraverso il gasdotto – adducendo le suddette ragioni tecniche che secondo la Germania sono dubbie – e il timore è che il flusso di gas non possa riprendere. “Stiamo affrontando l’ipotesi che la nostra fornitura di gas potrebbe crollare“, ha detto Adrian. “Il tempo stringe e, come aziende, dobbiamo pensare allo scenario peggiore. Dobbiamo purtroppo affrontare lo scenario in cui, al termine della manutenzione il 21 luglio, non ci saranno altre forniture di gas attraverso il Nord Stream 1. Sarebbe un disastro“. Anche Christian Kullmann, amministratore delegato del gigante chimico tedesco Evonik, ha manifestato apertamente i suoi timori: “Siamo molto preoccupati, sarebbe da ingenui non esserlo”.

Il rischio recessione – Sebbene il governo tedesco stia cercando di allestire terminali galleggianti per ricevere gas naturale liquefatto, non saranno pronti entro la fine dell’anno, quando inizierà l’inverno. “Ciò significa che stiamo per avere un problema energetico“, ha detto il presidente del Dihk. Adrian ha poi sottolineato che alcune aziende hanno bisogno del gas come componente essenziale per il lo loro processo produttivo: ad essere colpito non sarà solo il settore manifatturiero. Gran parte della produzione alimentare richiede gas, ha sottolineato. Senza gas, molte aziende dovranno chiudere: “In tal caso, sono molto preoccupato per una recessione. Quindi assisteremo a una recessione economica drasticamente diversa da quella che abbiamo vissuto durante la crisi finanziaria“. Durante la crisi finanziaria del 2009, il prodotto interno lordo pil in Germania si è ridotto del 5,7%. Durante la crisi del coronavirus nel 2020, il pil è sceso del 4,6%. Secondo Bloomberg, si teme appunto che il blocco del gas possa diventare permanente ed essere usato dal presidente russo Vladimir Putin come arma di pressione contro l’Europa. L’industria tedesca sarebbe fortemente colpita dalle inevitabili misure di razionamento energetico mandando in recessione il Paese, con effetti a catena su tutte le economie del Vecchio Continente, Italia compresa.

Le mosse di Berlino – Il governo da un lato sta trattando con il Canada per un accordo per la restituzione delle turbine alla Russia. Berlino ha dichiarato di aver ricevuto “segnali positivi” dal Canada, ha detto il portavoce del governo tedesco Steffen Hebestreit. La Germania non crede al motivo tecnico invocato da Gazprom per spiegare il calo delle consegne di gas, ma ritiene che il ritorno delle turbine priverebbe la Russia di un pretesto per prolungare questa chiusura dei rubinetti del gas. Dall’altro lato, Bundestag e Bundesrat venerdì hanno approvato il provvedimento che apre la strada all’aumento della produzione di energia dal carbone, malgrado le preoccupazioni per l’ambiente. Il governo spera di supplire alla mancanza di gas per il riscaldamento ricorrendo appunto alle centrali a carbone, che sono attualmente disponibili in misura limitata, prossime alla chiusura o in standby. Il Bundestag ha anche deciso di facilitare aiuti di Stato per le compagnie energetiche in difficoltà, come Uniper. Potrebbe essere creato un sistema con il quale gli aumenti dei prezzi del gas per i fornitori di energia possano essere trasmessi ai clienti in modo più uniforme. Questo sistema rimpiazzerebbe le regole attualmente in vigore. Tuttavia, il governo vuole evitare di dover utilizzare questo strumento.

Il piano per le rinnovabili – Mentre molti sono preoccupati per gli eventi nelle prossime settimane, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha avvertito che le misure energetiche di emergenza potrebbero essere necessarie oltre l’inverno. In un videomessaggio, Scholz ha affermato che la sicurezza energetica sarà un problema per le “prossime settimane, mesi e persino anni”. Nonostante le misure temporanee, però, l’obiettivo a lungo termine di Berlino rimane quello di diventare indipendente dalle importazioni di petrolio, carbone e gas, innanzitutto espandendo la quota di energie rinnovabili, come ha sottolineato lo stesso cancelliere Scholz. In Germania nei primi sei mesi dell’anno il 49% della produzione di energia elettrica è stata ricavata da fonti rinnovabili. Ma il governo vuole arrivare a coprire almeno l’80% del fabbisogno energetico nazionale con energia verde entro il 2030. La coalizione semaforo ha trovato l’accordo sugli ultimi dettagli del pacchetto energia, che punta soprattutto su eolico e solare. Tra le norme più importanti la legge “Eolico a terra”, che vincola i Länder a destinare in media almeno il 2% del territorio alle pale eoliche nei prossimi dieci anni.

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Germania, nei primi 6 mesi 2022 metà dell’energia elettrica prodotta da rinnovabili. Il governo punta anche sull’eolico per l’80% nel 2030

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